Il Tribunale di Milano ha imposto all’Inps il pagamento del bonus mamma alle donne di cittadinanza straniera, indipendentemente dalla loro posizione sociale e legislativa, invitando l’Inps a non assumere atteggiamenti e comportamenti discriminatori.
La questione è nata da una decisione dell’Inps, che aveva escluso dal bonus mamma (un versamento “una tantum” di 800 euro alle donne in gravidanza tra il primo gennaio ed il 31 dicembre 2017) le mamme straniere senza un permesso di soggiorno di lungo periodo.
Contro questa decisione si sono sollevate ASGI, APN e Fondazione Piccini, che combattono per la tutela dei diritti civili e hanno presentato ricorso, accolto dal Tribunale di Milano.
Bonus mamma alle straniere: anche Milano condanna l’Inps
In realtà una situazione simile si era verificata qualche giorno fa anche a Bergamo, dove il Tribunale orobico ha sostanzialmente anticipato la sentenza del Tribunale di Milano. In quel caso fu il patronato Inca della Cgil ad intervenire a beneficio di 24 mamme straniere, che erano state escluse dal bonus mamma proprio perché prive di un permesso di soggiorno di lungo periodo. Il Tribunale di Bergamo aveva accolto il ricorso sconfessando la decisione dell’Inps.
L’Inps respinge le accuse: “Colpa del governo”
Nel giro di pochi giorni quindi l’Inps è stata accusata di atteggiamento discriminatorio da parte di due tribunali, ma l’istituto previdenziale non ci sta. Tramite una circolare,l’Istituto aveva comunicato l’esclusione dal bonus per quelle mamme prive di permesso di soggiorno, direttiva che fu però adottata secondo indicazioni ministeriali, che operavano le stesse distinzioni per il bonus bebè. Il Tribunale di Bergamo, e successivamente quello di Milano, avevano sconfessato il contenuto della circolare dell’Inps. La nota rilasciata dall’istituto, secondo i Tribunali, era in netto contrasto con la direttiva dell’Unione Europea, che invece garantisce la parità di trattamento per l’accesso ai bonus di maternità a tutte le donne migranti in possesso di permesso per lavoro o per famiglia, senza distinzione di nazionalità.
L’Inps ha replicato sostenendo di aver chiesto delucidazioni in merito alla presidenza del Consiglio, al Mef e al Ministero del Lavoro, senza però ricevere nessuna risposta.
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