Analizzando i dati sulla natalità in Italia, non ci vuole molto a notare quanto questi siano in continua diminuzione: la bassa fertilità del nostro Paese è un grosso problema per la società per la cui risoluzione si ipotizzano diverse vie di uscita, quali il miglioramento delle politiche a sostegno delle famiglie e una miglior conciliazione dei tempi lavoro-famiglia. Una delle ultime idee lanciate per contrastare il basso livello di natalità è quella di Dorota Szelewa, pubblicata su “In Genere”, in cui si sostiene che i governi europei potrebbero stimolare la crescita demografica lavorando sui padri e, in particolare, sul congedo di paternità.
Analizzando il congedo di paternità nei diversi Paesi, emerge che nel Nord Europa (dove le tematiche sulla parità di genere sono particolarmente sentite) i padri vengono coinvolti maggiormente nel processo di crescita dei figli, tanto da avere fino a 3 mesi (in Norvegia e in Islanda) di congedo per la nascita del proprio bambino; le percentuali dei padri che sfruttano il congedo è fino al 90%.
Oltre alle leggi, però, in questi Paesi è cambiata anche la concezione della figura paterna: il padre non è più solo il breadwinner di casa, cioè colui che si occupa del mantenimento economico della famiglia, ma ha anche il dovere di svolgere un ruolo attivo nella crescita e nell’educazione dei figli.
Inoltre, dall’analisi dei tassi demografici, emerge che nei Paesi in cui le donne non vogliono più figli dopo aver partorito il primo sono quelli in cui prevale il divario fra generi: se l’uomo non aiuta nelle incombenze domestiche, se tutto il peso della cura familiare grava sulla moglie, il desiderio di avere altri figli crolla.
In definitiva, secondo Dorota Szelewa un ruolo più attivo dei padri nella famiglia e nella gestione della casa potrebbe innalzare i livelli di fecondità e, quindi, essere di grande aiuto alla risoluzione di molti problemi che la scarsa natalità porta con se’.
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