Il dieci ottobre è nata Sole, la secondogenita della celebre show girl svizzera Michelle Hunziker. Fin qui tutto bene, il problema è che la donna ha ripreso a fare TV dopo soli quattro giorni dal parto.
In realtà non c’è nulla di male, se una donna sta bene e ha la possibilità di essere aiutata col bambino come sicuramente lo è Michelle. Ognuna dovrebbe essere libera di vivere la maternità come meglio crede, se tra le mura domestiche o sotto i riflettori.
La polemica che è nata sul web però non va a colpire il concetto di maternità della showgirl, bensì nasce dal timore delle mamme cosiddette normali che pensano stia passando un messaggio errato.
Se gli intenti della showgirl erano quelli di far capire che, giustamente, né la gravidanza, né la maternità sono una malattia se non ci sono complicazioni, quello che è stato percepito dalle donne e mamme comuni è che si deve per forza essere wonderwoman e che certi, poco intelligenti, datori di lavoro possano pretendere prestazioni lavorative a discapito della maternità tutelata dallo Stato.
Tutela. Già, perché se lo Stato non riesce a tutelare le donne in gravidanza, figuriamoci quelle in maternità. Sappiamo tutti perfettamente di quali stratagemmi si avvalgano certi datori di lavoro che vogliano “silurare” una dipendente incinta e il tutto nel perfetto rispetto delle leggi. Ritornando alla showgirl però, vediamo che si difende sostenendo che il suo non è un lavoro, ma un divertimento che la porta a stare fuori casa solo poche ore. Purtroppo per la maggior parte delle donne non è così.
L’attuale condizione del nostro Paese mette in grave difficoltà le donne che decidono di avere figli, per poi sciorinare su tutti i notiziari la bassa percentuale di nascite. Contraddizione ai più alti livelli. Mancano gli apparati, mancano le strutture, manca, soprattutto, la mentalità per garantire una maternità davvero tutelata.
Per cui è inutile polemizzare sulla scelta, più che rispettabile, di una donna abituata a un certo tenore di vita, in salute e in carriera. Sarebbe meglio indirizzare energie e battaglie per ottenere diritti, non per giudicare le scelte altrui.
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