C’è chi dice che uomini e donne provengano da pianeti diversi e che lo stesso valga, quindi, anche per i papà e le mamme. Personalmente sono convinto che, se esiste un modo per capirsi, passi necessariamente attraverso il raccontarsi. Essere un papà e essere una mamma è una lunga avventura che passa per il raccontarsi.
Al di là del fatto che lascia qualche schizzo d’acqua in più quando fa il bagnetto al bambino, o che si mette a giocare alla lotta proprio poco prima dell’ora della nanna, quando sarebbe bene mantenersi tranquilli per favorire il sonno, a parte le facili ironie che si scambiano i papà e le mamme sui rispettivi ruoli, come può un papà raccontare la propria esperienza a una mamma?
Io voglio provarci.
Diciamoci la verità, all’inizio un papà, almeno nei confronti del figlio, si sente un po’ il terzo incomodo. Entri a fatica in un rapporto a due, quasi esclusivo, solo grazie al fatto che la tua compagna ti lascia aperta, anche solo per uno spiraglio, la porta. I primi mesi passano alla svelta e ti rendi conto che mettere e togliere un pannolino era, alla fine, la difficoltà minore.
Scopri di muoverti in un mondo dove intorno a te tutti ti dicono che i padri non ci sono più. E tu pensi “Ma come?”, rispetto a prima passo molto più tempo con i miei figli. Ti dicono che devi rassegnarti, non rappresenterai più il riferimento per i tuoi figli. Che, forse, dipende proprio dal fatto che passi del tempo insieme a loro. Ti vedono per come sei, con la tua forza ma anche con la tua debolezza. Non sarai più il faro per i tuoi figli, al massimo il capitano di una vascello, se non solo un altro marinaio ma con più esperienza, che naviga a vista in acque agitate in mezzo agli scogli.
Dovresti essere come i cowboy dei vecchi western. Devi fare il duro per tutto il film, le tue espressioni sono date solo dalle rughe del volto, il tuo massimo sorriso è un impercettibile innalzamento di un angolo della bocca. Finché, poi, alla fine, nell’ultima scena prima dei titolo di coda, si scopre che eri sì un duro ma avevi anche un cuore grande, nascosto bene sotto i tanti strati di cuoio.
Altrimenti, c’è chi ti rinfaccia di fare il “mammo”. Uno che scimmiotta il ruolo della mamma. Che poi non è chiaro, di preciso, quando si sconfini in zona materna. E’ il territorio delle emozioni? Se è così, si torna al buon vecchio cowboy. Meglio non ammettere che per te è stato emozionante il primo giorno di asilo di tuo figlio. Tanto puoi guardarti e riguardi la foto sul tuo smartphone.
Il ruolo di papà, almeno come si conosceva prima, non esiste più. Lo stanno studiando ma ancora manca qualcosa. Nel frattempo dovresti prendere tempo ma non ne hai, tuo figlio cresce giorno dopo giorno. Mentre vedi granitico il ruolo di mamma della tua compagna, nelle sue caratteristiche e nei suoi comportamenti, tu senti sbriciolare il tuo. Sai che non potrai più garantire quell’autorevolezza e quelle certezze dei papà degli anni passati. Perché il mondo è cambiato e tu non potresti proprio vestire quei panni. Ne sei consapevole e questo ti spaventa.
Poi c’è il mondo del lavoro che si aspetta che per te non cambi niente. Un bel brindisi per il neo papà ma poi, via, archiviata anche questa pratica. Mentre per te niente è come prima, c’è l’inserimento al nido, le riunioni con le maestre, le recite di Natale e di fine anno scolastico, gli allenamenti. Perché vuoi esserci, non perché devi. Perché vuoi vedere, tra i tanti bambini e genitori, quello sguardo che si accende quando incrocia il tuo. In alcuni momenti vorresti urlare a tutti che tu sei bravo come prima, solo un po’ meno disponibile in termini di tempo. In altri non ti è permesso neanche avere la voce per esprimere certe esigenze perché il lavoro sembra quasi un privilegio, in questo periodo.
Essere un papà è l’insieme di tutte queste sensazioni e molto di più. Probabilmente nessuno ve lo dirà apertamente perché ai papà, di solito, piacciono i western e si sentono, in fondo, ancora un po’ dei cowboy.
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Tommaso Maria Paone