Le donne che, per un motivo o per un altro, non sono riuscite a procreare non devono mai sentirsi incomplete, né tanto meno devono percepirsi come mamme di serie b qualora optino per l’adozione. Il percorso di costruzione della genitorialità non è dissimile da quello compiuto da una mamma biologica, sebbene gli ostacoli da superare siano talora maggiori. Non è semplice, infatti, rimuovere l’inevitabile competizione affettiva con la mamma naturale, anche se non la si conosce personalmente. Il pensiero di una madre adottiva, infatti, è che comunque la genitrice biologica abbia accolto per 9 mesi il proprio figlio nel suo grembo guadagnandosi, senza sforzi, una esclusività e un affetto cui lei sente di non poter accedere; ciò comporta un inevitabile sentimento di gelosia. E così, spesso, le mamme adottive si sentono sempre in dovere di dare il massimo per poter sopperire, come se ce ne fosse bisogno, a quei 9 mesi iniziali in cui sono state “assenti”. Ma, in realtà, si tratta semplicemente di paure irrazionali. Come sostiene la Beata di Calcutta, infatti: “La prima (la madre naturale) ti ha dato la vita, la seconda (la madre adottiva) ti ha insegnato a viverla”.
Bisogna dirlo una volta per tutte: le mamme adottive non sono mamme di livello inferiore, né sono mamme “speciali” con una marcia in più: sono mamme esattamente come tutte le altre, con i propri limiti e le proprie virtù. Ciò che conta è non sentirsi mai “diverse”, né inadatte al proprio ruolo di genitrici.
Spesso le donne che desiderano adottare un bambino si ritrovano, spinte da un amore istintivo e profondo, in Paesi sconosciuti alla ricerca di quel figlio che, fino a quel momento, è stato loro negato. Non c’è che dire il cuore delle madri adottive è davvero grande e, il loro coraggio, in molti casi, lo è ancora di più.
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