La voce della mamma, per il figlio, è la voce delle stelle.
È un suono lontano, argentino o basso, che riecheggia sottile nell’acqua che lo accoglie. È il nord verso cui volge, quando è sveglio. È una musica che lo culla, quando dorme.
Non è vero che il mondo prima della nascita sia buio e silenzioso. In estate una luce sottile può attraversare quella pancia cresciuta e nuda che si gode il mare e la nostra voce è la sua guida verso la vita.
Ogni volta che parliamo con qualcuno, che ridiamo di qualcosa di divertente, che abbiamo la voce rotta dal pianto, il piccolo sconosciuto che ci cresce dentro tende gli orecchi nuovi di zecca per scoprire quei suoni.
Ha fame di voce, il figlio. Della nostra.
E così quando leggiamo ad alta voce, quando cantiamo sotto la doccia perché la giornata è stata bella, quando diciamo ti amo, lui coglie ogni suono e lo mischia con altri come fossero colori. E dipinge a modo suo la realtà, in quella mente ancora acerba ma già curiosa.
E così, forse, tratteggia il nostro viso, si crea l’immagine di un universo che lo trasporta e lo protegge: che siamo noi.
La voce della mamma è una carezza deliziosa, come quella fatta con la mano appena appoggiata a sentire dove stanno i piedini, a fare solletico ad una testina che tra poco avremo appoggiata al petto e non più dentro di noi.
E quando alla voce acuta della mamma s’intreccia la voce bassa del papà, con quelle parole sussurrate a fior di pancia, forse il nostro piccolo sconosciuto inizia a sognare.
E lui stesso, che da sogno è diventato un battito di cuore, è pronto ormai a uscire e a scoprire da dove vengono quei suoni che sono stati per lui tutto il mondo: e a farci sentire, finalmente, la sua voce.
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