È una delle situazioni più difficili da comprendere ed accettare: il fenomeno delle madri che uccidono i figli è un dramma immenso e che scuote le coscienze di tutti.
Caso dopo caso, la psicologia si è interrogata su quali potessero essere la cause di un gesto così folle. Secondo la scienza, le motivazioni che spingono una mamma a togliere la vita al proprio cucciolo possono essere numerose.
Ecco una breve, e non esaustiva, analisi dei disturbi materni che possono condurre ad un epilogo così terribile.
Madri che uccidono i figli per vendetta contro il compagno
Gli esperti la chiamano Sindrome di Medea: si tratta del disturbo che spinge le mamme ad utilizzare i figli come strumento di ritorsione contro il partner. Gli uomini che le hanno tradite, abbandonate, fatto soffrire, vengono puniti con la privazione del figlio, ucciso per loro mano.
Madri che uccidono i figli indesiderati
Non sempre una gravidanza è voluta e programmata. A volte un figlio può essere il frutto di una violenza, o arrivare durante un momento di difficoltà. Quando un figlio non è desiderato, le mamme decidono di liberarsene, per cancellare il ricordo traumatico.
Madri che uccidono i figli e sé stesse
Molte mamme vivono periodi di depressione e abbandono, dati dalla difficoltà nell’accettare il nuovo ruolo materno e le sue dinamiche. Non sono rari, tra le mamme assassine, i casi di suicidio allargato in cui oltre ad uccidere sé stessa, la donna decide di porre fine anche alla vita dei piccoli che, secondo il suo pensiero, non potrebbero sopravvivere senza di lei.
Madri che uccidono i figli fingendo di curarli
Si chiama “Sindrome di Munchausen per procura” e riguarda il comportamento materno secondo cui le mamme inventerebbero sintomi o patologie dei propri figli e si prodigherebbero per curarli in maniera intensiva. Dietro le cure, spesso inutili e messe in atto per risolvere patologia inesistenti, si nasconderebbe la volontà di danneggiarli. Un drammatico processo di maltrattamento che potrebbe essere causato dal bisogno della madre di avere attenzioni, assumendo – per interposta persona – il ruolo del paziente bisognoso.
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