In attesa per una visita pediatrica in ospedale, fra peluche e cucine in miniatura, piste per le macchinine e costruzioni, capita di vedere annoiati ragazzi e ragazze, persi nei loro smartphone e immersi nei loro pensieri adolescenziali, condividere la sala d’attesa con neonati, toddler ed bambini della scuola primaria.
Quello che può sembrare un caso, un evento sporadico, in realtà è la quotidianità e la questione è nota: gli adolescenti, fino ai 14 anni, sono curati nei reparti pediatrici e hanno diritto al pediatra di famiglia; superati i 14 anni, la divisione è meno certa e il limbo si allarga. A seconda della patologie, un adolescente può vedersi inserito ancora in pediatria oppure essere inserito nei reparti “normali”, assieme agli adulti.
Poche strutture sono attrezzate per accogliere a dovere gli adolescenti, fornendo una terza via, fra l’infanzia e l’età adulta, e offrendo servizi su misura per loro.
Per la stragrande maggioranza degli ospedali, invece, l’adolescente rimane o un bambino un po’ cresciuto oppure un mini adulto: la situazione non è certo l’ideale, soprattutto in quella che è una delle stagioni più critiche della vita, quando sentirsi come un pesce fuori dall’acqua è all’ordine del giorno.
E così per un giovane una visita o un ricovero diviene ancora più angoscioso: abbandonata la solida routine quotidiana e gli amici di sempre, un adolescente viene catapultato in un ambiente con Topolino e Paperino sulle pareti oppure bianco e asettico, con un pensionato come compagno di camera.
In ogni caso, un adolescente non può non sentirsi fuori posto: una mancanza a cui il sistema sanitario dovrebbe certamente provvedere, proponendo spazi idonei e attività che possano incontrare il gusto dell’adolescente, aiutandolo così a vivere quanto più serenamente possibile la degenza in ospedale.
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