#Seseiunuomofirma è la petizione lanciata su Change.org dall’avvocato Lucia Annibali e da Alessia Morani, vice capogruppo Pd alla Camera.
Lo scopo, dicono, è provocare una rivoluzione culturale che sposti la questione dalle donne agli uomini, perché bisogna sentire dalla loro viva voce che sono contro la violenza. Sono sempre loro a dover costruire una rete contro la violenza sulle donne, veicolando per esempio i messaggi contro il femminicidio.
Sempre nella petizione si parla di una sorta di emancipazione, di un percorso di liberazione che dovrebbe cambiare tutto. Le leggi ci sono, viene detto, e si tratta di un problema educativo: e si continua a parlare di capire i meccanismi della violenza cieca che scatta in chi commette un femminicidio.
Sicuramente il principio alla base di questa petizione è buono: fare qualcosa per le donne. Ma siamo sicuri che lo si sta facendo nella maniera giusta?
#Seseiunuomofirma: e se prima facessimo qualche riflessione?
Perché non credo che una petizione, soprattutto strutturata in questa maniera, possa smuovere alcunché. Magari le cose da fare potrebbero essere altre.
Ci sarebbero per esempio i milioni di euro messi a disposizione di iniziative contro la violenza di genere, e che non vengono spesi da anni: iniziamo a fare un programma serio di sostegno sfruttando quelli.
C’è la lotta all’abbandono scolastico, che è uno strumento forte contro la violenza di genere. Le donne che lasciano presto la scuola e non hanno la possibilità di essere indipendenti, potranno (ma non è una regola) essere vittime di ricatti familiari e maltrattamenti.
C’è il mantenimento di diritti come l’aborto e il divorzio, spesso messi in discussione, sulla pelle delle donne.
C’è da creare un nuovo modo di vedere la femminilità nella moda, nei mezzi di comunicazione, per far capire ai ragazzini che crescono che le donne non sono solo cose che fanno vendere le macchine o i reggiseni.
C’è da educare le donne a sostenere le donne: perché spesso noi siamo le nostre prime nemiche.
C’è da far rispettare le leggi, e c’è da applicarle: se uno stupratore fa pochi anni di carcere prima di ripresentarsi in faccia alla vittima, di che stiamo parlando?
E c’è da far sentire la voce delle persone, non solo quella degli uomini: e sinceramente, questo richiamo alla mascolinità, nel titolo della petizione, sembra anch’essa una discriminazione di genere.
E infine siamo noi mamme, insieme ai padri e alle famiglie, noi che cresciamo gli adulti di domani, ad avere la responsabilità di renderli coscienti che siamo diversi, uomini e donne, e non dobbiamo essere uguali: dobbiamo solo avere gli stessi diritti e gli stessi doveri.
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