Le bambole, nell’immaginario collettivo, sono perfette. Bionde o more, vestite di tutto punto, con labbra carnose e dipinte, con lunghe ciglia e capelli lunghi e acconciati. Ci sono bambole classiche, di quelle che le mamme ci regalavano una volta, come la tenera Sarah Kay o le vecchie Barbie, e le bambole di nuova generazione, abbigliate secondo le mode del momento, super truccate, con le zeppe o in versione zombie/vampiro. Ci sono bambole con lo sguardo dolce e bambole maliarde e maliziose. Alcune hanno spaccato l’opinione pubblica, come la Barbie: troppo magra, troppo seno, troppo statuaria, ed è stata modificata nel corso degli anni. Alcune suscitano polemiche come le Bratz, perché troppo truccate, con tatuaggi e vestiti non proprio da educanda. Ma ci sono delle bambole che non solo stanno sollevando un polverone, ma che sono destinate a fare storia. E poi ci sono le bambole disabili.
Si tratta di bambole che, dopo pochi giorni in commercio, sono letteralmente andate a ruba. Prodotte dall’azienda inglese di giocattoli Makie, le bambole prendono spunto da alcune vicende reali. Ma cos’hanno di tanto speciale? Si tratta di bambole disabili, che mostrano cioè delle disabilità, o meglio, diverse abilità. C’è la bambola non udente, quella sulla sedia a rotelle o quella con gli occhiali. L’idea è nata dalla creatività e dalla sensibilità di 3 donne inglesi con alcune disabilità, e mamme: la giornalista non udente Rebecca Atkinson, la giornalista non udente Melissa Mostyn con un figlio sulla sedia a rotelle e un’esperta di giocattoli, Karen Newell, con un figlio non vedente.
Si tratta dunque di persone che hanno quotidianamente a che fare con le diverse abilità, e che hanno pensato che per i bambini diversamente abili, ma non solo, potesse dare una marcia in più vedere bambole che riportavano le loro problematiche. In realtà questi giocattoli hanno già trovato detrattori ed estimatori. I primi sostengono che i bambini nel momento ludico debbano potersi svagare, i secondi che non ci sia nulla di male nel mostrare delle disabilità e che anzi la cosa aiuterebbe a sensibilizzare anche gli altri bambini. Dove risieda la verità è opinabile, quello che è un dato certo, invece, è che le bambole disabili stanno letteralmente spopolano sul mercato.
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Ma a nessuno viene in mente che i bambini, disabili e non, devono essere liberi di “rappresentarsi” nei loro giochi e non di “essere rappresentati” secondo gli schemi dei pedagoghi di turno??? Quando le bambole erano bambole, cioè bambini di cui prendersi cura “da adulti” da “mamme e papà” e non pupattole e veline stile Barbie o altre lolite plastificate, questo problema non c’era perché la bambina (ma anche, più raramente, il bambino) non si identificava affato con la bambola, se mai “proiettava” sulla bambola (che proprio per questo era di solito il simulacro piuttosto “neutro” di un infante di pochi mesi o un neonato) il proprio immaginario, inventava caratteri, condizioni, ambienti e situazioni. La bambola non è il personaggio definito dal costruttore con cui la bambina deve identificarsi, ma uno strumento, il “medium”, attraverso cui esprime creativamente il suo mondo di sentimenti, desideri, paure, fantasie. La prima cosa indottrina e imprigiona, l’altra libera e fa crescere. Ricordo che talvolta facevo ammalare le mie bambole per inscenare situazioni difficili con corse all’ospedale, pericoli da evitare, nemici da sconfiggere, catastrofi naturali, ostacoli da superare, di solito eroicamente e con immancabile successo. Ricordo, di aver sottoposto a cure tipo bendaggi e ingessature le mie bambole: il tutto con materiale di recupero, pezzi di tela, di legno, pezzi di altri giochi. Dopo le cure le bambole guarivano. Io, imprigionata nei busti della mia scoliosi evolutiva di cui avrei dovuto continuare ad occuparmi a vita (e lo sapevo), volevo che le mie bambole guarissero ed ero contenta così, come qualsiasi madre che tanto è pronta ad accettare qualsiasi malattia dei suoi figli tanto desidera che siano il più possibile sani e forti. Ma la vogliamo smettere di tormentare i bambini, disabili e non, coi nostri pruriti politicamente corretti, con le nostre ipocrisie, con i nostri ideologismi? Da disabile di 65 anni, vi giuro che non se ne può più! I giochi devono permettere ai bambini di IMMAGINARE QUELLO CHE VOGLIONO. Nessuno impedisce a un bambino Down di immaginare la sua bambola Down, SE VUOLE, nessuno impedisce a una bambina in carrozzella di inventarsi, usando un camioncino o qualcosa con le rotelle, di mettere la bambola in carrozzella SE NE HA BISOGNO, nessuno impedisce a una bimba con apparecchio acustico di simulare per la sua bambola un apparecchio con un pezzetto di filo plastificato, SE LO DESIDERA. Questa infelice trovata invece non dà scampo ai disabili che si sentono sì riconosciuti ma, guarda caso, non come persone “anche” disabili, ma come esseri completamente e rigidamente identificati da se stessi e dagli altri col proprio specifico stigma. Basta! Piantatela!