- Le ferie. Che non significa non lavorare (non solo per lo meno). Le ferie significano tempo. Per me, per leggere, per perderlo. Ma soprattutto da passare insieme a mio figlio. Significa non dover giocare a tetris per incastrare gli impegni di babbo, mamma e nonni. Significa poter prendermene cura io, senza dover chiedere supporto. Significa farmi trovare accanto a lui la mattina quando apre gli occhi e non dover scappare di corsa appena finito di pranzare. Significa poter fare la mamma.
- Il caldo. Che, salvo imprevisti (leggi come sgraditi malanni estivi) vuol dire poter uscire di casa senza preoccuparsi di vento, pioggia e neve. Vuol dire anzi che, a caccia di refrigerio, non c’è altra soluzione che uscire. E fare.
- I vestiti. Pochi e comodi. Che poi, qualche volta, se è molto caldo, si può uscire anche solo in canottiera. Così, semplicemente.
- I gelati. Quelli che ti svoltano la serata piena di capricci o che ti riempiono i pomeriggi annoiati. Che si sciolgono prima ancora che siano finiti. Che regalano sempre buonumore.
- I giochi all’aria aperta. Compresi quelli che hanno come protagonista l’acqua che, nelle altre stagioni sono sempre, assolutamente, vietati.
- Tornare a casa. Dai miei, che significa anche tornare dai nonni di Pit, quelli che durante il resto dell’anno non vede quasi mai.
- I capelli che si asciugano all’aria. Senza bisogno del phon che, a casa nostra, sembra essere stato scambiato per un mostro ferocissimo.
- I programmi dell’ultimo momento. È caldo, a casa ci si annoia e si può pensare di prendere e a partire. Anche senza aver organizzato niente. Mare, montagna, piscina o città: l’estate è fatta per muoversi.
- Mangiare fuori. Senza il solito problema di dover scegliere questo o quest’altro ristorante solo in base allo spazio. E all’arredo “a misura di bambino”.
- Le vacanze di Pit con i nonni. E non credo di dover aggiungere altro.
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