Vedere Giorgia, la giovane protagonista dell’ultima campagna di Amnesty International vestita da sposa, lì per lì mi è sembrato quasi normale. In molti paesi da noi, quando si fa la Comunione, le piccole si vestono così.
Ma poi la sua voce mi ha riportata bruscamente alla realtà: perché racconta che nei 30 secondi dello spot 13 bambine sono state costrette a sposarsi contro la loro volontà. 37 mila al giorno. 13 milioni di ragazzine che hanno meno di 18 anni, e che ogni anno sposano uomini che hanno 20, o anche 50 anni più di loro.
Piccole di 8 anni, vendute per pagare i debiti delle famiglie, e che vanno incontro a stupri, violenze, alla morte per parto.
C’è chi le chiama spose bambine: noi le chiamiamo vittime di una tratta di pedofilia mondiale, che non può più nascondersi dietro tradizioni o abitudini.
Niente può giustificare quello che accade nello Yemen, in Burkina Faso, in Giordania, in Bangladesh. Nessuna donna, nessuna madre, può chiudere gli occhi davanti a quelle che potrebbero essere nostre figlie.
È assolutamente sbagliato continuare a pensare che i matrimoni infantili, così come anche l’infibulazione, o il non dare la possibilità di studiare a queste bambini, faccia parte di uno stile di vita arretrato ma magari da rispettare.
La violenza sulle bambine non ha niente di rispettabile!
E Amnesty International dice con forza “Mai più spose bambine”, con un video virale e con un matrimonio simulato che si è svolto davanti al Pantheon a Roma: dove appunto la piccola Giorgia, di 10 anni “sposava” Gianni Rufini, direttore di Amnesty International Italia, e l’officiante era Riccardo Noury, portavoce dell’Associazione.
Fino al 1 novembre, grazie ad un sms da inviare al numero 45594, si possono donare 2 euro per cercare di cambiare la vita di queste bambine.
Donate e condividete anche voi con l’hashtag #maipiùsposebambine!
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