Minacce e abuso dei mezzi di correzione sembrano parole appartenere a un passato lontano, eppure leggendo le cronache giudiziarie di questi giorni non sembra essere così, tutt’altro. Ha fatto notizia la giusta condanna che la Corte di Cassazione ha inflitto nei giorni scorsi a un’insegnante di inglese, colpevole di aver minacciato i propri allievi (reato di abuso dei mezzi di correzione) e di aver esercitato su di loro violenza privata, obbligandoli a ritrattare quanto hanno dichiarato.
La donna, condannata anche in II grado dalla Corte di Appello di Firenze, aveva rivolto in continuazione minacce, insulti e aveva denigrato i propri studenti; alcuni di loro avevano esposto la situazione al dirigente scolastico e l’insegnante aveva in seguito obbligato e minacciato gli studenti a ritrattare quanto esposto al preside della scuola, indirizzandogli una lettera scritta.
Insomma, un quadro davvero pesante e sicuramente non conforme a quanto la donna aveva presentato a sua discolpa: la Corte, infatti, non ha accolto la non abitualità dei comportamenti che la donna aveva invocato e, anzi, ha riconosciuto che l’azione era abituale e criminosa, e la pressione esercitata sugli allievi per ritrattare quanto avevano lamentato al preside scolastico era stata così grave e pesante da configurare il reato di violenza privata.
Per quanto riguarda poi le minacce, la Corte ha riconosciuto che si tratta di un abuso dei mezzi di correzione che un insegnante ha sì il potere di esercitare, ma in assoluta proporzionalità con la gravità del comportamento che i ragazzi tengono.
In definitiva, quanto è accaduto è sicuramente una di quelle pagine sulla scuola italiana che non vorremmo di certo leggere nel III millennio. L’abuso della posizione di supremazia che un insegnante riveste non può che essere il peggiore degli insegnamenti che un mentore possa dare ai propri allievi, tramutati in capri espiatori delle proprie insoddisfazioni personali e professionali.
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