In Italia, come pure in altri Paesi, il legislatore consente alle donne di partorire in completo anonimato. Naturalmente ciò comporta la perdita di ogni diritto sul neonato che, successivamente, sarà dato in adozione.
Questa opportunità, in effetti, dovrebbe contribuire a ridurre il numero di abbandoni e infanticidi. Eppure sono sempre più numerose le notizie di cronaca che ci parlano di madri che abbandonano i propri figli per strada, esponendoli a rischi assai gravi.
Parto anonimo: la legge che tutela donne e neonati
Non tutte le donne, quando scoprono di essere incinte, per una serie di svariati motivi, sono contente di esserlo: si pensi alle giovanissime che non sono pronte ad accogliere un figlio nella propria esistenza, a coloro che vivono situazioni familiari di profondo disagio o ancora alle donne che hanno subito una violenza.
I dati ufficiali riferiscono che ogni anno su 550 mila bambini nati, 3.000 neonati vengono abbandonati e ben 400 sono quelli che nascono con parto anonimo. I numeri che riguardano però gli abbandoni scellerati nei cassonetti o in strada non sono facilmente ponderabili, perché spesso emergono solo i dati di chi ce l’ha fatta.
Proprio per tutelare le future mamme e i neonati il nostro ordinamento giuridico la legge 396/00 consente il parto anonimo. In questo caso, il parto avviene in ospedale in totale sicurezza ma, una volta nato il bambino, la neomamma può decidere di affidarlo alle cure dei sanitari restando in totale anonimato.
Parto anonimo: come funziona
Come funziona con esattezza? La partoriente viene accolta in ospedale dove le vengono garantite assistenza sanitaria e giuridica. L’identità della madre resta sempre segreta: sull’atto di nascita del piccolo, infatti, compare la seguente dicitura: “Nato da donna che non consente di essere nominata”. In seguito interviene il Tribunale dei Minori per aprire in breve tempo la procedura di adottabilità del neonato.
Per quanto riguarda il papà, in questi caso viene compromessa il diritto del padre biologico di riconoscere il figlio, che non ha la possibilità nemmeno di effettuare il “riconoscimento al ventre”, prima ancora cioè della nascita del piccolo.
La neomamma, secondo la legge, ha la possibilità di valutare un ripensamento:
La madre che ha particolari e gravi motivi che le impediscono di formalizzare il riconoscimento, può chiedere al Tribunale per i minorenni presso il quale è aperta la procedura per la dichiarazione di adottabilità del neonato, un periodo di tempo per provvedere al riconoscimento
Il limite massimo previsto è di 2 mesi, in cui vengono sospese le procedure di adottabilità, a condizione che nel periodo la madre biologica mantenga un rapporto con il bambino. Il periodo di due mesi può essere utilizzato dalle mamme che abbiano compiuto i 16 anni di età, mentre per le più giovani la sospensione delle procedure di adozione, se richiesta, resta attiva fino al compimento del sedicesimo anno di età, sempre a condizione che il bambino abbia un rapporto continuativo con la madre in questo periodo.
La Culla per la Vita per il parto fuori dall’Ospedale
Per le neomamme che non partoriscono in ospedale ma che non se la sentono di prendersi cura del proprio bambino, esiste anche un’altra possibilità: affidate il neonato in una delle oltre 60 Culle per la Vita distribuite negli ospedali italiani.
Anche in questo caso è garantito l’anonimato del genitore, ma anche la sicurezza del bambino: attraverso una finestra dotata di tapparella termo-isolata sarà possibile deporre il neonato direttamente in una termoculla.
Dopo l’apertura della finestra sarà attivata la videosorveglianza, che monitorerà il piccolo ed avvertirà il personale di servizio tramite un segnale acustico: gli infermieri ed i medici potranno così accedere tempestivamente tramite una porta il cui ingresso è gestito dal personale, fornendo al piccolo tutte le cure del caso e avviando per lui le procedure per l’adozione.
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