Diventare amico dei propri bambini o tenere una certa distanza e distinguere i ruoli? Questo è uno dei dilemmi di molti papà e mamme durante la delicata fase della crescita dei figli, ma anche uno dei temi sui quali la pedagogia si è spesso divisa. Premesso che non esistono soluzioni a buon mercato e che valgano in ogni situazione, ci sono comunque degli accorgimenti legati al buon senso e applicabili nella quotidianità: tuttavia, come spiega Paolo Ragusa, responsabile del Centro Psicopedagogico per l’Educazione di Piacenza, il migliore approccio è evitare di educare “alla pari”, trattando cioè i figli come degli adulti.
I limiti di un’educazione “alla pari”
Non trattare i bambini come se fossero degli amici e non bruciare le tappe del loro sviluppo: sono questi i cardini del pensiero di Paolo Ragusa, formatore e counselor che di questo argomento parlerà anche il 19 marzo a Milano in un incontro di “Scuola Genitori”. Mantenere la giusta distanza è fondamentale per alimentare correttamente le dinamiche adulto-bambino: al giorno d’oggi si tende invece a considerare i figli come se fossero già grandi, esigendo da loro cose a cui non sono preparati.
In realtà, nonostante le apparenze, i bambini hanno bisogno di una guida più che di un amico, ed è falsa la credenza secondo cui “sanno già cosa vogliono”. Insomma, è necessario che vedano nei genitori non dei loro pari ma dei riferimenti che li guidino e tengano vivo il loro interesse.
Il ruolo genitoriale e l’autorevolezza
È dello stesso avviso Paolo Crepet, psichiatra e scrittore, che in molti dei suoi interventi rimarca come il ruolo genitoriale, la sua figura di autorevolezza sia venuto meno. In un’intervista a Walter Veltroni, Crepet analizza la relazione tra genitori e figli, con una netta critica al fatto che i genitori sono sempre più servi dei propri figli.
E proprio sulla figura dei genitori ‘amici’ dei figli, dice Crepet: “Non solo è sbagliato, ma non è onesto. Perché sappiamo benissimo che non è e non può essere così, ma ci fa comodo pensarlo”.
Perché ci fa comodo? Proprio perché, soprattutto quando i figli passano nell’adolescenza, il genitore può essere spaventato a lasciare la mano del proprio figlio, che si avvia verso il mondo adulto. È quindi forse più facile fare l’amicone, fare il genitore che dice sempre di sì, piuttosto che mantenere punti fermi e vestire i panni di quello che mette dei limiti.
Rapporto genitori-figli: alcuni consigli
Uno dei consigli che Ragusa dà ai genitori è di essere dei testimoni e non dei modelli da scimmiottare. A suo giudizio, non si deve aver paura di condizionare un figlio dal momento che in lui l’imitazione è un meccanismo naturale: dunque, anziché attendere che imiti passivamente il genitore, è meglio educarlo con esempi concreti e che gli lascino un segno.
Non solo: è bene non attribuire ai figli un’età diversa da quella che hanno, specie nell’adolescenza, ovvero trattandoli come adulti per responsabilizzarli o da bambini per proteggerli. Dare loro l’età giusta ne migliora non solo l’indipendenza, ma anche l’autonomia che è cosa ben diversa.
Inoltre, è utile impostare la relazione coi figli sulla presenza ma anche sull’assenza, trasformando i momenti in cui si è lontani in un’occasione per far sperimentare loro la solitudine e, successivamente, la curiosità e la voglia di tornare assieme.
No a modelli educativi eccentrici o “biografici”
Dal punto di vista prettamente educativo, è interessante notare che ciò su cui insistono Ragusa e alcuni colleghi e cioè evitare le cosiddette pratiche eccentriche, mettendo i figli in situazioni in cui non si trovano a loro agio: ad esempio giocare a tutti i costi con loro anziché lasciarli liberi di farlo coi coetanei, oppure destabilizzarli con un evento imprevedibile o una sorpresa non gradita.
I genitori dovrebbero anche evitare di imporre la loro esperienza e i modelli educativi ricevuti: infatti, relazionarsi pensando a come eravamo da piccoli sminuisce l’unicità di un bambino a favore della nostra “biografia personale”. Infine, in relazione al non essere amici dei propri figli, bisognerebbe evitare di diventare i loro confidenti o di chiederne la comprensione: a volte, spiegare troppo fino a giustificarsi, genera confusione e rende equivoci i rapporti.
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