6 patatine a porzione, la dose giusta per abbassare la mortalità secondo un nutrizionista di Harvard
Potrebbe sembrare una notizia provocatoria ma in realtà, secondo lo studio di un noto nutrizionista inglese, la dose giusta per contrastare la probabilità di morte precoce è di sei patatine a porzione.
Il professore Eric Rimm, docente all’Università di Harvard, ha infatti condotto una ricerca sugli effetti del consumo di tuberi (patate e altri) fritte sulla mortalità nell’individuo. Secondo lo studio, chi consuma abitualmente patatine fritte (almeno 2/3 volte a settimana) avrebbe maggiori probabilità di morire a confronto di chi non le assume.
Perché le patatine fritte farebbero male?
Il problema, secondo il professor Rimm, non sta nel consumo delle patatine fritte, ma nella frequenza e nella quantità di assunzione.
Le patate, prima di tutto, non sono una verdura quindi non andrebbero consumate come contorno. Essendo ricche di amido e zuccheri, somigliano come valori nutrizionali a pasta e pane.
Amido e zuccheri presenti nelle patatite danno un senso di appagamento e sazietà momentanee e non apportano nutritivi al nostro organismo. Mangiarne troppe e spesso può dunque provocare problemi di salute nel lungo periodo.
La provocazione del professor Eric Rimm
Dettando le regole sul numero di patatine fritte da consumare, lo studioso di Harvard ha voluto lanciare un monito ai consumatori assidui di questo alimento da fast food, in particolare gli americani. Sei è un numero esiguo, come cinque oppure dieci, niente in pratica, quindi tanto vale non mangiarle.
Qualsiasi tipo di alimento se assunto in quantità eccessive può fare male a lungo andare, oltretutto se fritto. Ridurre il consumo di chips fritte comporterebbe una sostanziale riduzione anche di sale e salse, diminuendo così non solo l’apporto di zuccheri ma anche di grassi nocivi.
La provocazione dello studioso inglese ha suscitato non poche polemiche ma deve far riflettere sull’importanza di una corretta alimentazione, sin da piccoli.
Il video della settimana