Il bullismo è un problema reale e coinvolge ben il 50% dei giovani nel nostro paese. Uno su due insomma finisce vittima di episodi più o meno seri, che spesso non vengono affrontati e risolti in maniera adeguata.
Non si tratta solo dell’assenza di comunicazione con gli adulti da parte della vittima, ma di un errato metodo di rapportarsi al problema, che va a punire rapidamente il bullo senza cercare di comprendere e prevenire il fenomeno alla radice.
Il metodo danese, che già ha offerto sul profilo didattico ed educativo diversi spunti positivi negli ultimi anni per l’educazione dei più piccoli, sembra aver trovato una soluzione per ridurre questo drammatico problema, con cifre che hanno visto riduzioni drastiche dei casi dal 25% al 7.
Un problema di tutti
Spesso il bullismo viene minimizzato se non addirittura incoraggiato e ritenuto capace di aiutare la formazione del carattere dei bambini o la competitività.
In realtà gli episodi di bullismo rischiano di formare adulti insicuri e infelici, oltre ad alimentare il fenomeno stesso in un circolo vizioso per cui, una volta adulti, vittime e carnefici saranno portati a credere che la violenza psicologica e fisica faccia parte dei normali riti di passaggio scolastici.
Per alcuni l’unico provvedimento da prendere dev’essere nei confronti del bullo: una mera vendetta che dovrebbe tenere a bada i ragazzi con la paura di punizioni varie.
Come ogni problema però, la soluzione non sta solo nel semplicistico prendere provvedimenti, ma nel localizzare le cause scatenanti e agire su di esse.
Perché un bullo si comporta in questo modo? Perché certe meccaniche di gruppo consentono la nascita dei cosiddetti “branchi”? Il problema non è nella presunta cattiveria innata di un bambino, ma in complesse dinamiche sociali, nella quale l’individuo si inserisce e agisce.
Come lo affronta il metodo danese
Il metodo danese esposto da Jessica Alexander, autrice del manuale “Il nuovo metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia”, si è rivelato efficace proprio perché si sofferma pazientemente ad affrontare i perché.
Una delle risposte più importanti a tali interrogativi riguarda il fenomeno dell’esclusione sociale. Noi umani siamo divenuti nel corso della nostra storia sempre più dipendenti l’uno dall’altro, dalla convivenza alla collaborazione che hanno portato la nostra sopravvivenza a livelli altissimi.
Essere esclusi o non accettati dagli altri, crea picchi di sofferenza profonda fin dalla più tenera età, in quanto viene vissuto come una minaccia alla propria sopravvivenza e spesso è proprio in mezzo a queste dinamiche di esclusione sociale che si formano reazioni negative e bullismo.
Il metodo danese si focalizza quindi sull’analizzare le dinamiche sociali dei gruppi di alunni tramite “sondaggi del benessere” da sottoporre ai giovanissimi, per individuare e correggere eventuali situazioni problematiche, e capirne le specifiche dinamiche: chi sono i bambini più popolari, chi i meno e perché?
I danesi dedicano ben un’ora a settimana all’insegnamento della tolleranza e appartenenza il “fællesskab”, principi che incrementano felicità inclusione e positività nei più piccoli e gli adolescenti.
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