Da quando è mancato mio padre, ogni volta che qualcuno vuole farmi le condoglianze, oppure se esce il discorso, immancabilmente il rito consolatorio è ripetermi che mio figlio è la cura, che mi distrae dalla sofferenza, “per fortuna che hai lui”, “bhe però almeno c’è lui, pensa se non ci fosse”. Un mantra che vi assicuro hanno ripetuto tutti, dalle persone più semplici a quelle più acute, da chi mi conosce appena a chi mi vive da anni, tutti indistintamente a cercare di consolare una mancanza (francamente inconsolabile) con la tiritera del figlio “risarcimento”.
Posto che mi rendo perfettamente conto che da parte di ognuno c’era una volontà positiva e che, di fronte a qualcosa su cui evidentemente c’è poco da dire come la morte, l’unico appiglio plausibile per evitare il silenzio, era l’amore per il figlio… francamente è un discorso che non regge.
Forse è vero che l’irruenza e la voglia di vivere di mio figlio talvolta mi distrae dai pensieri negativi, che l’amore per qualcuno può aiutarti a superare difficoltà e momenti bui, ma considerare i figli come un cerotto alle nostre sofferenze, la panacea delle sfortune, un totem a cui aggrapparsi per pensare positivo è decisamente pericoloso e dannoso non solo per noi ma anche per loro.
I figli sono occasioni meravigliose per imparare ad amare e scoprirsi capaci di farlo nel modo più autentico, ma non devono essere confusi con dei sostituti delle persone che ci mancano, degli amuleti contro l’infelicità e sfighe. I figli non devono essere l’unico motivo della nostra felicità. Il rischio è di dare loro una valenza eccessiva, di investire su di loro energie e speranze troppo pesanti, di dare loro una centralità per quanto concerne la nostra completezza che si rivelerà insopportabile per noi e per loro.
Senza contare che i figli stessi possono, anche solo in alcuni momenti, essere causa essi stessi di sofferenza e frustrazione. Hanno tutto il diritto di esserlo, hanno il diritto di non rispettare i nostri desideri, di diventare qualcosa che non era ciò che speravamo, di lasciarci, di essere adolescenti ribelli e insopportabili. E a quel punto che si fa? Avevamo scommesso tutto su di loro… erano loro la garanzia della nostra serenità.
Un padre morto, un matrimonio fallito, un lavoro perso, un’infanzia difficile, le difficoltà economiche sono dolori inestimabili e non risarcibili. I figli non leniscono nulla, non sostituiscono, non riparano. Ogni cosa dovrà seguire la sua strada: il dolore sfogarsi, assorbirsi, modificarsi, integrarsi alla vita e se possibile renderci più forti; i figli saranno una splendida occasione d’amore nonostante il dolore.
Il video della settimana