Nei nostri figli cerchiamo pezzi di noi stessi. Pezzi del nostro viso, dei nostri occhi, dei nostri capelli, della nostra costituzione fisica, ma anche pezzi del nostro carattere. Cerchiamo di ritrovare le somiglianze e le affinità, gli stessi gusti e quando non li troviamo ci restiamo pure un po’ male.
Come quando, per fare un esempio, mio figlio mi ha sgridata perché avevo messo troppa Nutella nel panino, io che nella Nutella potrei farci il bagno. O quando dice di no al dolce, ogni volta. O ancora, quando ci mette un secolo per uscire di casa perché si trascina come una lenta tartarughina io che, invece, sono abituata a saltare come un coniglio.
La verità è che nei nostri figli cerchiamo pezzi di noi stessi, senza valutare mai realmente la possibilità che possano nascere, e crescere, come individui lontani e diversissimi da noi.
Abbiamo il bisogno di vederlo quel pezzo di noi, ci rassicura, appaga il senso di possesso, ci dice che i nostri figli sono nostri quando invece i figli, lo sappiamo, sono del mondo.
E soprattutto, i figli sono persone che non esauriscono il loro essere tali con la natura di figli. Come noi madri, non esauriamo la nostra natura di persone nel solo, unico, ruolo di mamme.
I figli possono somigliarci, al massimo somigliarci molto, ma sono altro e noi lo capiamo solo dopo aver messo al mondo persone che non sono nate per appartenere a qualcuno, ma per essere. E sembrare, solo sembrare, un pezzo di noi: il migliore.
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