Qualche sera fa accarezzavo mio figlio mentre dormiva anche perché è questo l’unico momento in cui lui si lascia accarezzare, e pensavo a quanta pace e tranquillità mi regala quei momenti. Ora. Ora che è passato un po’ di tempo.
E allora mi sono messa a pensare, ci penso sempre più spesso ultimamente, quanto tempo ho ancora a disposizione per annusargli la pelle e accarezzargli le guance mentre dorme, senza che lui si ribelli.
Mi sono chiesta per quanto tempo ancora continuerà a trasformarsi in un cucciolo, all’improvviso, quando si addormenta. Da bambino a cucciolo che vuole la sua mamma in pochi minuti, ogni sera, concedendomi gli ultimi attimi di quella maternità più fisica e intima che non tornerà mai più.
Che non mi è mai mancata, soprattutto mentre la vivevo.
Mi dicevano di godermi tutto, gli abbracci, gli odori, i pianti, il contatto. Mi dicevano di goderne perché un giorno mi sarebbe mancato tutto.
Mi dicevano, ma io ero sopraffatta. Dalla maternità mi sono lasciata vivere più che viverla, senza goderne mai appieno. Ma forse, mi dico oggi, non ne ho mai goduto appieno perché quello non era il mio tempo per farlo.
Avevo bisogno di più tempo o forse solo che arrivasse il mio momento per imparare a goderne. Senza spiegarmi, solo sentendo.
Non sono stata capace prima, ma mi godo mio figlio ora, perché probabilmente è questo il mio tempo, quello giusto per me e solo per me, per farlo.
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