Jessica Gialdisi ha 25 anni ed è mamma di una bambina di 6 anni, sorella e genitore affidatario dei suoi tre fratelli. Ha perso la madre per un atto suicida nel 2018, mentre i suoi fratelli (venuti alla luce dal secondo matrimonio paterno), invece, hanno perso la loro mamma per overdose nel 2017.
Trascorsi difficili che ha raccolto in un romanzo autobiografico intitolato “Vorrei essere stata bambina” con il quale spera di poter esser d’aiuto a chi si trova ora in difficoltà e di riuscire a diffondere la magia dell’affido familiare per aiutare tanti bambini a trovare il loro posto sicuro, l’amore e la protezione che per diritto meritano.
Abbiamo raccolto le sue parole.
Puoi raccontarci brevemente la tua storia?
Nonostante la mia giovane età sono già mamma di una meravigliosa bambina di sei anni, sorella e genitore affidatario (da ben due anni) dei miei tre fratelli, insieme al mio compagno.
Sono nata in una famiglia difficile, dove il mio bisogno sembrava non esistere, così come molti dei valori necessari per la crescita equilibrata di un bambino. Il mio papà e la mia mamma erano entrambi tossicodipendenti, vissero per anni lontani da me rinchiusi in comunità ed i nonni paterni (i miei angeli custodi) si presero sempre cura di me. Crescendo cercai approvazione dagli altri, nella speranza di trovare un adulto in cui riporre il ruolo genitoriale.
Papà si sposò e da quella relazione nacquero i miei tre fratelli. Sembrava poter essere un nuovo inizio, ma in realtà si rivelò soltanto terreno fertile per ulteriore sofferenza. Nel 2017 venne a mancare la mamma dei miei fratelli, aveva solo 33 anni, morì di overdose. Soltanto un anno più tardi venne a mancare la mia mamma. Si tolse la vita. Da quel tragico avvenimento, nacque in me la necessità di ascoltare e vivere il mio dolore, riconoscendo per la prima volta il mio bisogno. Questo evento diede inizio alla mia rinascita.
Smisi di cercare l’approvazione degli altri, capendo che poteva venire soltanto da me.
Presi il controllo della mia vita trasformando il dolore in forza per vivere profondamente con consapevolezza. Inizia a pormi un’infinità di domande, alle quali inizialmente non trovavo risposta. Insieme al mio compagno, dopo qualche mese dalla morte di mamma, capii che la cosa giusta sarebbe stata quella di proteggere e dare ascolto a quei bambini, i miei fratelli. Era giunto il momento di metter da parte mille paure, alzare la mano e chiedere aiuto. Denunciai tutto senza più alcun timore.
Siamo una community di mamme e spesso la maternità è vista come una condizione rosea e impeccabile, ma le mamme sono esseri umani come gli altri e cadono, sbagliano e falliscono come gli altri. Come si accetta questo mettendo da parte rancore e sensi di colpa?
Crescendo cercavo instancabilmente di abbandonare tutto quel disequilibrio che aveva caratterizzato tutta la mia crescita, che mi aveva privata della mia infanzia e della mia adolescenza.
Cercai la perfezione e sbagliai. La cercai in ogni parte di me, nel mio essere madre, sorella, compagna, amica. Era come vivere in una morsa, trovare la perfezione era una missione impossibile e mi faceva così male. Vivevo i miei fallimenti come la peggior punizione ed il mio senso di inadeguatezza mi riduceva in schiavitù.
Dopo il suicidio di mia madre iniziai a soffrire di bulimia. In tutto quel caos, l’unica cosa che potevo controllare era il cibo ed avevo la sensazione che vomitare tutto il dolore che portavo dentro potesse finalmente liberarmi. La bulimia diventò la mia dipendenza, non potevo più farne a meno. Era lei a decidere, lo faceva sempre. Un giorno però qualcosa cambiò. Quando cadevo in quel disturbo io non ero più madre, non ero più né sorella né compagna ero sola con me stessa e mi faceva paura. Un giorno qualcosa mi travolse. Per la prima volta mi resi conto che, quel disturbo era dipendenza, così come per i miei genitori lo erano le sostanze.
In quel momento iniziai a capirli, senza più odiarli per il male che mi avevano fatto, senza più giudicarli per le loro azioni.
Non li vidi più come cattivi ed egoisti, li vidi per la prima volta come persone fragili e senza strumenti per poter reagire.
Da quel giorno, dopo aver raggiunto quella consapevolezza io non vomitai più. Capii che anche se anch’io avevo sbagliato, questo non mi avrebbe mai impedito di ricominciare e di prendere in mano la mia vita. Li perdonai, mi perdonai e ricominciai. In quel momento ero caduta, ma quel mio cadere era stata l’unica arma di difesa che avevo a mia disposizione per potermi proteggere. Iniziai così a cercare i miei strumenti, quelli che mi servivano per affrontare la mia nuova vita e li trovai!
Come si affronta l’idea che l’amore di una madre (o di un padre) non sia puro e invincibile?
Cerco spesso una risposta a questa domanda nel mio quotidiano, soprattutto quando la sofferenza riemerge e mi attanaglia. Un tempo giudicavo i miei genitori per le loro azioni, per le loro scelte e per tanti loro atteggiamenti non troverò mai giustificazione, perché credo che nemmeno ci siano. Una cosa ho capito però con il senno di poi.
Loro mi amavano nel modo cui sapevano amare, come amavano loro stessi. Era un amore fragile, privo di equilibrio e difficilmente gratuito, ma era ciò che mi potevano offrire e mi diedero anche se sbagliando infinite volte il meglio che avevano da offrirmi.
Smisi così di farmi del male sperando di ricevere un amore diverso e lo accettai in tutte le sue sfaccettature. Decisi di accogliere senza più opporre resistenza per qualcosa che io non potevo cambiare. Solo loro potevano farlo.
Quello che con la tua storia vuoi veicolare penso sia l’idea che si può e si deve andare oltre alle nostre origini e al nostro vissuto, che puntare all’ideale è possibile anche se il reale ci ha deluso molte volte. Cosa ti ha salvato?
Ho avuto una grande fortuna, quella di essere cresciuta tra le braccia dei miei nonni paterni. Loro mi hanno fatto conoscere l’amore vero, quello che non conosce alcun limite. Sin da bambina li osservano in azione, quando lottavano con le unghie e con i denti per le persone che amavano, quando perdonavano infinte volte anche gli errori più grandi. Quando anche nelle situazioni più difficili non esisteva mai per loro l’odio. Accoglievano semplicemente e lottavano. Ecco, i nonni mi hanno salvata. Mi hanno insegnato ad amare. Dopo il suicidio di mamma iniziai a scrivere come auto-terapia, iniziai a farmi un sacco di domande, avevo bisogno di risposte. Scrivere mi obbligava ad attraversare il mio dolore, a riaprire ferite profonde e farle sanguinare nuovamente, ma era inevitabile per poter ricominciare.
La mia auto terapia divenne un libro autobiografico lo scorso dicembre 2020, dopo aver vinto il premio letterario indetto dalla Fondazione Ema Pesciolinorosso (tra più di 700 opere presentate).
Ho deciso di pubblicare il mio romanzo “Vorrei essere stata bambina” nella speranza di poter dare un pizzico di coraggio a chi non trova alcuna via d’uscita. Abbandonai la paura di essere giudicata, di essere vista come sporca e sbagliata, ed uscii allo scoperto. Capii che come me tantissimi bambini e tantissimi adulti di oggi vorrebbero poter essere stati bambini.
Purtroppo non posso cambiare ciò che è stato, ma posso fare qualcosa per cambiare il mio domani, posso decidere io la direzione, nel mio piccolo lo posso fare, posso scegliere.
E così ho scelto, ho scelto di raccontare per diffondere la magia dell’affido familiare ed aiutare tanti bambini a trovare degli adulti pronti a prendersi cura di loro ed a donargli la possibilità di essere finalmente bambini. Il mio è un piccolo gesto d’amore, nella speranza di poter arrivare ad un cuore bisognoso, pronto ad accogliermi e far sentire meno solo.
Quali sono principali difficoltà che hai riscontrato nell’affido?
Le difficoltà sono all’ordine del giorno, spesso il passato e le vite che caratterizzano bambini e ragazzi che vengono accolti in affido non sono state molto semplici. Anzi, spesso racchiudono storie devastanti, perché fin da subito hanno dovuto farsi carico di responsabilità troppo grandi e hanno dovuto affrontare sfide da giganti. Non è semplice affiancarli nel loro dolore ed è difficile trovare sempre il modo giusto per comunicare con loro, per capire e comprendere i loro bisogni e non è sempre semplice guadagnarsi la loro fiducia. Credo che lo facciano per protezione, per proteggersi da un altro abbandono, da un altro trauma.
Insomma, è difficile non posso negarlo, ma ciò che donano in cambio vale molto, molto di più, perché da loro, ognuno di noi, ha tanto da imparare. Le difficoltà saranno tante, ma sarete sostenuti costantemente in questo percorso, non sarete mai soli.
Quali consigli daresti ad una persona che vorrebbe affrontare il tuo percorso?
Prima di intraprendere un percorso di affido e di accogliere un bambino, con la sua storia ed il suo bagaglio emotivo tra le nostre braccia, è bene interrogarsi a lungo, informarsi e chiederci per quale motivo siamo spinti a fare questa scelta. So bene che, nel momento in cui vi sentirete pronti per iniziare questo percorso, le paure affolleranno la vostra mente, inizierete a chiedervi se sarete all’altezza, se sarete davvero pronti. Con una buona probabilità, queste paure vi faranno fare un bel passo indietro e forse, quel vostro desiderio, finirà nel cassetto.
Beh, voglio darvi un consiglio, non giudicate ed etichettate questo percorso ancor prima di cominciarlo. Ascoltatevi, abbandonate le tue paure ed amate, amate infinitamente tanto.
Non serve alcuna dote particolare o soprannaturale. Bastate semplicemente voi, con il vostro amore.
L’affido spaventa perché non è come un’adozione, non si conosce la durata. Ma ricordate, l’amore non ha residenza e ciò che avrete donato a quel bambino resterà per sempre. Voi potete fare qualcosa di grandissimo per lui, che sia per un mese, per un anno, o più di uno.
Voi potete permettere a quel bambino di essere finalmente bambino, potete donare equilibrio, serenità ed amore.
Tanti bambini urlano in silenzio costantemente, ma io so che tra voi c’è chi saprà ascoltare il loro grido e porgere la mano. L’amore dato, tornerà come un meraviglioso eco. Con tutto il cuore vi auguro di mettervi in cammino e di compiere questo meraviglioso viaggio, verso l’affido familiare.
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