La decisione del ristorante romano “La Palapa” di vietare l’ingresso ai bambini e agli animali domestici ha fatto molto scalpore e ha riacceso una polemica sulla liceità dei cosiddetti ristoranti childfree, un fenomeno in realtà molto diffuso negli Stati Uniti e presente anche nel nostro Paese.
Tra la schiera di sostenitori e quella di chi, invece, reputa questa scelta una totale ingiustizia, è opportuno fare delle riflessioni che possano aiutare a fare chiarezza.
Ristoranti childfree: la scelta del ristorante romano
È di pochi giorni fa la notizia secondo cui il ristorante romano “La Palapa” ha deciso di vietare l’ingresso ai bambini e agli animali domestici, a tutela di una maggior tranquillità della clientela. Una notizia che ha sconvolto molte persone, soprattutto genitori, i quali si sono sentiti offesi e in un certo senso discriminati.
Un altro aspetto che non è andato giù ai critici è l’indiretta equiparazione tra i bambini e gli animali domestici, paragone che a molti è suonato come offensivo e del tutto fuori luogo.
Il ristorante ha in realtà fatto notare come una scelta simile non sia certamente nuova non solo per quanto riguarda l’estero ma anche nel nostro Paese: i ristoranti childfree sono infatti una realtà diffusa negli Stati Uniti, in Europa e, se pur in misura minore, anche in Italia e nella stessa capitale.
Ristoranti childfree: un’analisi razionale del fenomeno
È chiaro che questo argomento desti molte polemiche perché tocca le corde dell’emotività e dell’orgoglio genitoriale di molti adulti. È altrettanto vero, però, che non si potrebbe trattare di una vera e propria discriminazione ma semplicemente di una scelta di marketing di un’attività privata, giustificata da motivazioni che, se pur non da tutti condivise, hanno una loro logica.
L’avvocato Fabio Biffi, che ha scritto su Linkiesta, non è d’accordo :“non può essere considerato legale il fatto di vietare ai bambini l’accesso a un ristorante per il semplice fatto che possano infastidire altri clienti con la loro semplice presenza, si tratterebbe infatti di un motivo discriminatorio. Un po’ come escludere a prescindere gli anziani, o gli stranieri”.
Tuttavia dobbiamo arrenderci all’evidenza : cenare fuori con un bambino o un animale domestico non, è infatti, la stessa cosa che farlo in coppia o da soli: i bambini infatti spesso parlano a voce alta, si alzano da tavola e questo può turbare al quiete del locale. Non si tratta di colpe, è normale che i più piccoli si comportino così, ma ciò non significa che non sia giusto cercare di tutelare anche chi va al ristorante per passare una serata tranquilla in totale relax.
Allo stesso modo, può avere un senso tutelare chi non gradisce la presenza di animali all’interno del ristorante, per questioni igieniche o per allergie o intolleranze al pelo: in questo caso specifico, si tratta di una forma di rispetto reciproco che è giusto dare a tutti.
Ovviamente non sarebbe giusto se tutti i ristoranti imponessero questo genere di limitazioni, mentre può essere normale se a farlo è solo una parte di essi, che dirige la sua offerta a un certo target di clientela la quale è poco compatibile con la presenza di bambini o di animali domestici all’interno del locale.
Quindi, chi ha ragione ?
Però, c’è un però. La discriminazione forse c’è, ma c’è anche la possibilità che siamo noi genitori a discriminare cosa è opportuno per i nostri figli : li portereste a teatro alla tenera età di 2, 3, 4 anni ? Andreste con loro al ristorante dell’ultimo chef stellato a mangiare piatti da gourmet che costano 50€ l’uno? Forse no, anche perché loro, i vostri figli, sarebbero i primi ad annoiarsi, a sentirsi a disagio. Quindi che fare ? Nulla ci vieta di portarli al ristorante, magari comunque cercando di arrecare meno disturbo possibile agli altri clienti, per esempio trovando attività per intrattenere il bambino.
Ma i ristoranti childfree tutto sommato sono pochi, e se proprio vogliamo andar lì per una sera, chiamiamo i nonni o la baby sitter.
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