Ormai da giorni tiene banco la vicenda del piccolo Eitan, il bambino israeliano sopravvissuto alla strage della funivia del Mottarone rapito dal nonno materno e portato nello Stato Ebraico contro il volere degli zii paterni, cui era stato affidato dopo la morte dei genitori. Questo è soltanto il più popolare e recente caso di sottrazione di minore verificatosi in Italia, ma purtroppo non l’unico. Ogni anno sono diverse decine i bambini che vengono portati fuori dall’Italia, nella stragrande maggioranza dei casi da uno dei due genitori.
Sottrazione di minore, il fenomeno
La statistica indica che i casi di sottrazione di minore si verificano con maggiore frequenza in presenza di matrimoni misti, ovvero quando il padre e la madre non hanno la stessa nazionalità. Sebbene le leggi in materia siano chiarissime, non è facile farle applicare, a maggior ragione nei casi in cui il Paese in cui il bambino viene portato non ha sottoscritto una convenzione con l’Italia.
Emblematico il caso di Eitan: Israele si è già mossa per garantire il rimpatrio del piccolo, ma in generale per completare l’iter è necessario il pronunciamento di un giudice. Ciò significa essere alla mercé della giustizia dei vari Paesi in cui i minori vengono portati, senza alcuna garanzia rispetto al fatto di riuscire ad ottenere il rimpatrio. Uniche vittime? I bambini.
Sottrazione di minore: cosa dice la Convenzione dell’Aja
Non parliamo come detto di un fenomeno isolato: in Italia ogni anno all’incirca 100 bambini vengono portati via, numero che sale a 1.000 in tutta Europa. Ad indicare la rotta, quando si parla di sottrazione di minore, è la Convenzione dell’Aja.
Sottoscritta nel 1980 da diversi Paesi tra cui l’Italia, dov’è stata resa esecutiva nel 1994, essa ha come fine di “assicurare l’immediato rientro dei minori illecitamente trasferiti o trattenuti in qualsiasi Stato contraente” e “assicurare che i diritti di affidamento e di visita previsti in uno Stato contraente siano effettivamente rispettati negli altri Stati contraenti”. Perché essa risulti applicabile, “lo Stato di residenza abituale prima della sottrazione e lo Stato in cui il minore è stato portato (Stato di rifugio)” devono avere “entrambi ratificato o aderito alla Convenzione” nonché “reciprocamente accettato l’adesione dell’altro Stato”.
Nel caso specifico del piccolo Eitan, le cose sono rese più semplici dal fatto che sia l’Italia sia Israele rispondono ai criteri sopra elencati. Ad intervenire per quanto riguarda lo Stato italiano è la cosiddetta Autorità centrale, avente sede a Roma, che si attiva prendendo contatti con la controparte del Paese straniero dove il minore è stato trasferito prendendo informazioni sulle sue condizioni. Subito dopo ha inizio la negoziazione per cercare di ottenere il rimpatrio.
La trattativa però non sempre è facile e ogni caso fa storia a sé. Anche ottenendo un provvedimento giudiziario che prescriva l’ordine di rimpatrio, infatti, non è facile farlo applicare in quei Paesi dove i principi democratici non sono così saldi. A volte possono volerci mesi, se non addirittura anni, per riportare il proprio figlio a casa. Troppo per non pensare che sia necessario intervenire alla radice per risparmiare ai bambini e ai genitori tanto dolore.
Il video della settimana