Una giovane mamma di 23 anni partorisce nel carcere di Rebibbia senza l’aiuto di un medico. Con lei la sua amica e compagna di cella a sua volta incinta di cinque mesi, che le ha fatto da ostetrica. L’evento, fortunatamente a lieto fine, perché mamma e neonato sono sani, accende una luce sulle condizioni delle detenute in stato di gravidanza che sono in carcere per reati di lieve entità.
Amra partorisce nel carcere di Rebibbia senza assistenza medica
Amra, questo è il nome della giovane mamma detenuta, è stata arrestata lo scorso luglio per furto con la sua amica Marinela, ed era già incinta. La legge in questi casi prevede i domiciliari per tutelare il benessere del nascituro e la prigione è solo una extrema ratio, ma per potere usufruire di questa possibilità, è necessario fornire un indirizzo di residenza certo per i controlli. Entrambe le donne però non hanno una dimora stabile, vivono nel campo rom di Castel Romano nella zona di Pomezia e perciò si sono ritrovate in carcere sotto la tutela dello Stato.
Gabriella Stramaccioni, Garante dei detenuti di Roma le ha incontrate entrambe pochi giorni prima di ferragosto e ha confermato che la gravidanza di Amra era in uno stato avanzato : ha subito contatto la Casa di Leda, una struttura protetta per offrire maggiori tutele alla mamma e al bambino e anche il magistrato competente per avere l’autorizzazione a procedere, ma non ha ricevuto alcuna risposta.
Nonostante gli sforzi della Stramaccioni, Amra ha partorito lo scorso 3 settembre in cella, senza l’aiuto di un medico e di un’ostetrica. La situazione era già delicata perché qualche giorno prima del parto la giovane era stata ricoverata in ospedale con la minaccia di aborto e dopo poco dimessa. Il medico arriva quando la donna aveva già dato alla luce il suo bambino, ha fatto in tempo a tagliare il cordone ombelicale e a suturare Amra. Dopo cinque giorni di degenza in ospedale mamma e bambino sono stati scarcerati.
La responsabilità dello Stato e le misure alternative alla detenzione in carcere
L’avvocato Giampaolo Catanzariti, responsabile nazionale dell’Osservatorio Carcere dell’Unione Camere Penali sottolinea la responsabilità dello Stato in queste circostanze e interroga le istituzioni sul proprio ruolo di garanti della salute del nascituro. È vero che tantissime donne hanno partorito e partoriscono da sole dalla notte dei tempi, ma chi avrebbe pagato se qualcosa fosse andato storto? La mancanza di libertà delle detenute rende, infatti, lo Stato unico custode della vita del bambino.
La sorte di altre detenute in stato in gravidanza sembra essere legata alla possibilità di applicare le misure alternative alla detenzione come le case famiglia e la detenzione domiciliare speciale, mentre in Parlamento si discute dell’approvazione di una proposta di legge a firma dell’on. Paolo Siani che prevede il divieto di carcere per donne incinte o con figli fino a 6 anni. Unica eccezione prevista dalla normativa le “esigenze di eccezionale rilevanza”.
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