Richiedere l’interruzione volontaria della gravidanza è un diritto di ogni donna e in ogni ospedale il servizio dovrebbe essere garantito. Purtroppo in alcune realtà non è così, perché in almeno 15 ospedali italiani tutti i ginecologi risultano essere obiettori di coscienza.
I medici non possono essere tutti obiettori
A svelarlo è l’indagine “Mai dati!” condotta da due competenti autrici che si battono da tempo per i diritti delle donne: Chiara Lalli, esperta di storia della medicina, e Sonia Montegiove, giornalista e informatica. I dati raccolti di basano sul 60% delle aziende ospedaliere del territorio italiano. L’indagine è stata presentata durante il congresso nazionale dell’associazione Luca Coscioni, che già si batte per altre cause progressiste come il referendum sulla cannabis e la questione della legalizzazione dell’eutanasia.
Le autrici hanno messo il punto sul fatto che la legge del ’78 sull’interruzione volontaria della gravidanza dice chiaramente che l’obiezione in una singola struttura non può essere generalizzata e che il servizio deve poter essere espletato da almeno una persona. Il problema è che la percentuale di coloro che non praticano l’aborto non è pubblica, per cui il cittadino non può sapere con certezza a quale struttura gli conviene rivolgersi. L’associazione Luca Coscioni ha comunque messo in rete una mappa delle strutture che non offrono assistenza per interruzione volontaria della gravidanza consultabile sul sito dell’Associazione Luca Coscioni.
15 ospedali italiani sono obiettori dell’aborto
Ecco il dato più sconcertante che l’indagine ha portato alla luce: 15 ospedali e 5 strutture di presidio che fanno parte della sanità pubblica presentano il 100% di personale che è obiettore di coscienza sul tema aborto, questo significa che in questi centri tutti i ginecologi, le ostetriche e gli anestesisti non praticano l’aborto. Queste strutture sono dislocate nelle regioni di Veneto, Lombardia, Piemonte, Liguria, Umbria, Marche, Toscana, Campania e Basilicata, ma sono molti altri gli ospedali in cui la percentuale degli obiettori supera il 80% tra operatori sanitari e medici.
È chiaro che questi numeri non possono garantire un servizio che vada di pari passo con i diritti di ogni donna, che invece deve poter usufruire in qualunque parte del territorio italiano di un trattamento sanitario previsto e tutelato dalla legge. “Questa indagine“, hanno sottolineato le autrici, “ha uno scopo pratico e uno politico.
Perché da un lato vuole intervenire in favore delle donne che vogliono interrompere una gravidanza e si trovano impantanate nei corridoi della sanità pubblica, dall’altro cerca di portare il problema a livello politico per richiedere una pubblicazione aggiornata dei dati sulle singole strutture in modo che possano essere consultabili dalla popolazione. Solo in questo modo una donna può scegliere consapevolmente a quale ospedale rivolgersi senza dover intraprendere una battaglia personale per vedersi riconosciuto un suo diritto.
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