Il 25 novembre è la “Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne”: Vera e Giovanna, che sono diventate un simbolo della lotta contro il femminicidio, chiedono leggi che tutelino le donne in modo più efficace. Entrambe sono mamme che hanno perso le loro figlie a causa della ferocia di due uomini violenti e oggi sono unite nel dolore.
Vera e Giovanna, testimoni del dolore
La figlia di Vera Squartito, Giordana Di Stefano, è stata uccisa dal suo ex, il padre di sua figlia che non accettava la fine della loro relazione. 47 coltellate e una rabbia che non si placava hanno messo fine alla vita di Giordana, quando aveva solo 20 anni.
La donna lascia una bambina che all’epoca dell’omicidio aveva 4 anni e adesso cresce con la nonna. La storia di Giordana è una escalation di accuse, vessazioni e violenza da cui la ragazza ha provato a liberarsi interrompendo una relazione tossica e umiliante.
La violenza del suo ex Luca Pirolo, però, ha avuto la meglio e la condanna definitiva a 30 anni di reclusione non riesce a placare il dolore di Vera e della sua famiglia.
La figlia di Giovanna Zizzo, Laura Russo, aveva solo 11 anni quando è stata uccisa dal padre. La bambina e sua sorella avevano scoperto l’infedeltà del padre e avevano avvertito Giovanna.
La sera dell’omicidio l’uomo, ora in carcere con l’ergastolo, ha preparato la cena alle bambine ha scherzato con loro e appariva tranquillo, ma quando le figlie si sono addormentate le ha accoltellate nel sonno. Laura non ce l’ha fatta, Marika, sua sorella di poco più grande, invece è sopravvissuta ma combatte ancora contro gli incubi notturni e la paura degli uomini.
La battaglia di Vera e Giovanna per evitare che il dramma si ripeta
Oggi Vera e Giovanna raccontano le loro storie ai ragazzi nelle scuole, spiegano ai più giovani come individuare i primi segnali di allarme e spingono a parlare e a denunciare per dare voce al dolore di chi è fragile e spesso indifeso contro la violenza.
Proprio in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, hanno inviato alla redazione di Open una lunga lettera aperta, in cui raccontano:
Dipingiamo le panchine rosse: il rosso non è il colore del sangue ma dell’amore, sono dei “presidi” di amore. Il nostro obiettivo, adesso, è portare avanti un messaggio forte e chiaro. Quello che non si uccide per amore. Amore significa accettare la fine di una relazione, essere felici che l’altro sia felice. Amore non è violenza, non è possesso. Le donne non sono oggetti, non “appartengono a qualcuno”.
Il fatto che i responsabili dei crimini siano stati consegnati alla giustizia e stiano quindi scontando la loro pena, non basta a placare il dolore delle due donne:
Il nostro è un ergastolo del dolore. Loro, una volta espiata la pena, potranno tornare a “vivere”, le nostre figlie no, non vedranno mai la luce. Ci hanno costrette a chiuderle in quelle bare, nel pieno della loro giovinezza, quando erano ancora dei fiori pronti a sbocciare. E, invece, il loro sorriso è stato spento per sempre. Quanto ci mancano…
Le due donne sono impegnate per cambiare la cultura della vergogna e dell’omertà che alimentano la violenza e chiedono alle istituzioni misure più rapide e efficaci a difesa delle donne e di garantire la certezza della pena.
Agli uomini, invece, chiediamo di rispettare la propria compagna e li invitiamo a rivolgersi agli sportelli d’ascolto per farsi aiutare, qualora ne sentissero il bisogno. Chiedere aiuto non è mai una vergogna. Basterebbe solo un po’ di rispetto e amore per arginare la violenza che ci circonda.
I 109 femminicidi già commessi nel 2021 sono un segnale di allarme e Vera e Giovanna lottano perché le donne siano tutelate già dopo la prima denuncia.
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