Umiliazione e sofferenza, queste sono le forti emozioni che Laura, una giovane ragazza di trent’anni, ha dovuto subire in seguito all’aborto terapeutico che le è stato effettuato durante il quinto mese di gravidanza.
Storia di un aborto: la denuncia di Laura
Vivere l’esperienza di un aborto è sempre una condizione che mina la sfera psichica e fisica di una donna; quando poi questo percorso è costellato da indifferenza e violenza, il peso da dover sopportare diventa davvero troppo.
Questo è quello che è successo a Laura, una giovane ragazza di trent’anni che nel 2020 ha dovuto subire un aborto terapeutico alla 22esima settimana di gestazione.
La causa che ha portato a tale condizione è la Trisonomia 21 di cui era affetto il feto, più comunemente conosciuta come sindrome di Down.
La denuncia di questa donna è rivolta al personale medico che, a differenza di quanto ci si immagini, non è stato per lei di nessun aiuto in un percorso tanto difficile quanto delicato come quello di un aborto.
La giovane ha partecipato alla campagna lanciata da “Obiezione Respinta” e le ha permesso di fornire una testimonianza diretta circa questa terribile esperienza.
Laura racconta di non aver trovato empatia e appoggio da nessuno, a cominciare dal suo ginecologo, sparito subito dopo averle comunicato l’esito del Dna fetale.
Lo specialista, infatti, non ha rappresentato nessuna guida per la giovane donna e le ha solo detto che per interrompere la gravidanza avrebbe dovuto recarsi in un’altra struttura, senza fornirle alcuna istruzione in merito.
Lo sconforto di Laura e la scelta dell’aborto
La giovane Laura ha spiegato, nella sua intervista, che la gravidanza era voluta ma che, una volta saputo l’esito che non lasciava spazio ad alcun dubbio, ha scelto di abortire, di comune accordo con il compagno.
Questa decisione, tende a precisare, non è stata assolutamente facile e presa a cuor leggero, ma mai si sarebbe aspettata di dover affrontare un incubo per interrompere la gravidanza.
Il primo step per l’aborto terapeutico, infatti, consisteva in un colloquio con la psicologa che, stando alle dichiarazioni di Laura, non ha mostrato alcuna empatia nei suoi confronti.
La specialista, infatti, non ha fatto altro che aggiungere altra sofferenza alla giovane donna, spiegando che avendo lei un caso di sindrome di Down in famiglia, avrebbe dovuto aspettarselo.
Quest’affermazione, oltre ad essere stata brutale e priva di tatto, si è rivelata anche infondata in termini medici, perché con l’esame della cordocentesi (cioè il prelievo di sangue dal cordone ombelicale) Laura ha scoperto che la sindrome di cui soffriva il feto era dovuta a una casualità, senza dunque interessare alcun fattore ereditario.
Il giorno dell’aborto
Proseguendo con la sua storia, Laura ha raccontato del giorno in cui è stata ricoverata in reparto; i dottori le avevano avevano dato la pillola per l’interruzione terapeutica che però le ha portato dolori fortissimi, tanto da indurla a chiedere degli antidolorifici che le sono stati puntualmente negati.
La giovane donna ricorda che il suo malessere fisico fosse talmente estremo che l’ha portata a vomitare, nella totale indifferenza degli infermieri e dell’ostetrica. Quest’ultima, quando è stata presente all’espulsione del feto, non ha atteso che anche la placenta fuoriuscisse, provocando per Laura altre ore di agonie e sofferenze.
Arrivata poi a al raschiamento, la ginecologa le ha chiesto se avesse voluto ricoverarsi, ma Laura è voluta tornare immediatamente a casa e scappare da quel posto.
Alle pene per il dolore fisico, si è aggiunto anche lo strazio di non aver potuto vedere il feto che è stato subito messo in un contenitore di plastica e portato via.
In tutto questo, Laura ricorda che nessuna delle altre ragazze che erano con lei in stanza e che dovevano interrompere la gravidanza aveva ricevuto la giusta guida. Né lei né altre hanno avuto parole di conforto o consigli su come alleviare il dolore.
A due anni da questo terribile evento, la giovane donna conserva ancora il senso di violenza di quella terribile esperienza, marcando il suo disappunto sul modo in cui viene affrontato questo tema così delicato da certe strutture e professionisti, molti dei quali mancano totalmente di empatia nei confronti di donne che, legittimamente, decidono di interrompere volontariamente una gravidanza.
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