La dislessia, un disturbo specifico dell’apprendimento che compare nei bambini in età scolare e comporta difficoltà nella lettura, nella scrittura e nell’abilità del calcolo, potrebbe avere radici genetiche.
A parlare sono i risultati di uno studio dell’università di Edimburgo, che ora potrebbe risolvere uno dei quesiti aperti più scottanti dei DSA – ovvero, la loro origine genetica o meno – e aprire la strada ad una diagnosi precoce del disturbo.
Le cause di dislessia? Già presenti nel corredo genetico
Lo studio condotto dall’università di Edimburgo, Regno Unito, è stato il più completo finora svolto sulle tematiche dei disturbi del neuro-sviluppo.
I risultati dello studio, che sono stati pubblicati sulla rivista “Nature Genetics“, hanno permesso di mappare le variabili genetiche del genoma umano che possono essere connesse alla dislessia.
Lo studio genetico ha dimostrato che all’interno del genoma umano vi sono ben 42 varianti che possono essere connesse allo sviluppo dei disturbi di dislessia. 15 di queste varianti erano già note alla scienza medica, ed erano associate a disturbi cognitivi vari; 27 di esse sono, invece, di nuova identificazione.
I meccanismi di emersione della dislessia, ad oggi, non erano del tutto chiari. Già diversi studi scientifici avevano suggerito il ruolo preponderante della componente ereditaria, ma le prove di una simile connessione, a livello genetico, non erano mai state numerose.
La ricerca è stata condotta ad ampio spettro, su più di un milione di soggetti adulti, 51mila dei quali con diagnosi di dislessia. La ricerca ha mappato il corredo genetico dei soggetti interessati, ed ha quindi analizzato in modo approfondito il genoma delle persone affette (e non) da dislessia, alla ricerca di differenze fra i geni, nel tentativo di identificare le possibili varianti genetiche all’origine del disturbo.
Proprio nell’ambito di questa mappatura sono emerse le 42 variabili che sono state associate alla dislessia. In sostanza, se un soggetto ha all’interno del suo corredo genetico queste varianti, la possibilità che sviluppi durante l’infanzia il disturbo dislessico è più alta. Alla luce di questa importante scoperta, resta da valutare quale e quanto sia rilevante l’impatto di ulteriori fattori (come quello ambientale) nel presentarsi del disturbo.
Una strategia per l’identificazione precoce della dislessia
Come noto, la dislessia è un disturbo dello sviluppo neurologico che comporta delle difficoltà pesanti sulla lettura, scrittura, calcolo.
Queste difficoltà si ripercuotono sul percorso e sul rendimento scolastico del paziente, e potendo persistere anche durante l’età adulta, possono avere un impatto non indifferente sulla qualità di vita delle persone affette. In particolare, i bambini affetti da dislessia tendono a leggere più lentamente, in maniera poco fluida, incontrano difficoltà nel cogliere i significati non espliciti dei testi. Il disturbo, sebbene permanga nel corso della vita, può manifestarsi in maniera differente a seconda dell’età.
In molti casi, la dislessia è connessa anche a disturbi del linguaggio, dell’elaborazione delle parole, e non di rado si presenta anche con ulteriori problemi del linguaggio o cognitivi. Si tratta di un disturbo molto complesso che ha un impatto di rilievo sulla popolazione mondiale, in quanto colpisce una percentuale inclusa fra il 5 ed il 17% del totale.
Lo studio inglese è di fondamentale importanza perché potrebbe gettare le basi sulla identificazione, in maniera precoce, dei soggetti che sono più predisposti di altri a sviluppare questo specifico disturbo.
La ricerca dell’Università di Edimburgo apre quindi le porte ad un potenziale ampliamento delle possibilità di diagnosi, anche molto precoci, e può consentire di garantire in questo modo un supporto mirato ai soggetti colpiti, in un momento ancora precedente rispetto a quello tipico di emersione del disturbo (in genere, l’età scolare).
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