Anni fa, lessi un libro sulla maternità. Raccontava le giornate di una neo e giovane mamma, rimasta a casa, senza lavoro, alle prese con pannolini al posto di meeting e svezzamento al posto di aperitivi. Un’istantanea (di successo) perché parlava del comune: quando, con il pancione fortemente ridimensionato, hai tra le braccia tuo figlio ma non sai cosa fartene e cosa fare, per inesperienza. Ma anche perché la maternità è sempre un inizio non un punto di arrivo quindi si fa fatica ad inquadrarla in un’unica ed assoluta relazione d’amore, di occhi negli occhi.
Eppure, siamo tutte a fare la fila per un’aspettativa che non può che deludere, posta in questi termini.
L’immaginario si frantuma, come la stima che hai per te, visto che ti ritrovi senza lavoro, senza amiche, in una vita da film americano anni ’50, con la casalinga ubriacona perché è invisibile ormai agli occhi di tutti, anche di se stessa.
Per chi li ha attraversati, quei giorni, non devo spiegare nulla.
Per chi è stata sola. Per chi si è sentita uno straccio e di fatto lo era.
Per chi ha perso sicurezza in se stessa e non l’ha ancora ritrovata.
Per chi, in una conversazione fra adulti, rimasta priva di un lavoro, non è più stata considerata un’ interlocutrice e si è rifugiata per sempre nelle chiacchere con i bambini che, almeno loro, danno importanza a come sei e non al contratto che hai.
Diventare mamme è uno shock
Diventare mamme, in Italia, è uno shock. Nel Paese vecchio non tanto per età anagrafica (che del resto è una fase, come l’infanzia, ma senza garanzia di arrivarci e bene) ma per mentalità.
Un Paese dove smuove più un guinzaglio che l’agghiacciante abbandono dal mercato del lavoro delle donne che diventano madri.
E siccome eravamo sole, abbiamo deciso di raccontarcela. E lo abbiamo fatto con i social. Con facebook, con instagram e con i tantissimi blog, che ormai hanno fatto la fine degli zerbini, sotto le scarpe con il tacco di mamme influencer tutte uguali.
Ma andiamo con calma.
In quei primissimi anni in cui rimani sospesa, sempre con la stessa tuta per casa che poi è quella con la quale dormi e semmai esci pure, con i capelli perennemente legati, la pancetta un po’ floscia e una routine da 41-bis, le cose non sono facili. Vivi nell’attesa perenne del domani: del nido, della scuola dell’infanzia, della babysitter, del partner che torni un po’ prima dal lavoro, della fine dei virus intestinali, della palestra, della luce del display del cellulare. Una chiamata, un messaggio, la risposta al cv che avevi inviato.
Tutto, in quei primi anni, è accompagnato dall’idea di fuggire. Non perché non amiamo nostro figlio, ma perché siamo sole. Siamo escluse. Da tutto. Dal prendere la metro (perché non funziona l’ascensore), dal mangiare fuori (perché pochi locali sono attrezzati), dalla convivialità (perché meno bambini ci sono in giro e meno li si tollera) e dal lavoro, che lo dico a fare.
A renderci più sole sono anche gli schermi nei quali ci rifugiamo. Più guardiamo video e foto e meno i volti di chi ci passa accanto, e siccome lo facciamo tutte, nessuno più si accorge dell’altra.
Ma, soprattutto, quegli schermi ci fanno sentire sole quando le altre sono più giovani di noi, sono più belle di noi, hanno figli vestiti meglio dei nostri, vivono in case ampie, luminose, perennemente ordinate e hanno una vita apparentemente piena di tutto.
Dico bene?
E quel tutto si è potenziato quando siamo passate dal confronto onesto sui forum ad instagram. Quel tutto è diventato dominante quando abbiamo abbandonato la bacheca di facebook, un articolo di una mamma blogger per un reel dell’influencer di turno. Quelle che si sono fagocitate la realtà, sputando i resti della nostra vita normale che, a quel punto, è apparsa priva di ogni bellezza.
Senza mamme con le quali parlare nella vita reale, chiuse in casa per mesi come per i primissimi anni, in assenza di una finestra che si affacci sul normale, ci si finisce per abbrutire. E, ad onestà del vero, anche per colpa nostra che abbiamo usato male il virtuale, preferendo il fasullo al tangibile.
Negli ultimi anni, forse perché questa falsità si è smascherata da sola, o forse semplicemente perché le mode si susseguono senza chiedere il permesso, le mamme influencer dalla coscia lunga e depilata, tornita al punto giusto, alla quale graziosamente si aggrappano due bambini, mentre il terzo è in braccio, hanno lasciato spazio a cloni tutti identici che parlano anche delle case in disordine, dei problemi di salute dei figli, dei propri divorzi.
Che sia su Instagram o su tiktok poco importa, anche in questo caso, si mostra la propria vita a favore di popolo, comprese fragilità vere e presunte, per vendere un prodotto o solo perché piace stare sul palcoscenico in qualunque forma.
Molto più smaliziate di quelle mamme che si raccontavano dieci anni fa, le nuove sono pronte a mostrarsi per strappare alle altre la dignità di essere normali, piuttosto che una risata, un’emozione come anche solo un’informazione.
Ma, ad essere davvero fragile è l’idea della maternità stessa. Saremo sempre orfane della verità se ci lasciamo incantare da un’idea astratta ed assoluta.
Essere e fare le madri non è stare a casa, di fronte allo specchio rotto dei nostri schermi, che ci dirà che non siamo mai abbastanza (come felicità o come dolore). Essere madri non è un’istantanea ma un divenire, che a volte fatica a spiegarsi mentre altre è tropo veloce, e che si vive al meglio se i bambini e le bambine sono i figli e le figlie di tutti.
Fare le madri è più facile se, anziché farcelo raccontare, nelle gioie e nei dolori, da estranee alla ricerca di autore, è una persona in carne e ossa. In un mondo che, se non riscopre il valore del prendersi cura dell’altro, si alimenterà solo della finzione. Perché, essa, non richiede impegno. Quello che, al contrario, ci vuole quando abbiamo figli e questo non lo può cancellare nessuna coscia lunga, perché fa parte del pacchetto. E meno male.
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