Secondo i recenti dati Istat la situazione della maternità in Italia ha assunto condizioni preoccupanti: il nostro Paese si posiziona al 205° posto, su 226 nazioni considerate, per tasso di fertilità, con una media di 1,4 figli a donna. Se incrociamo questo dato con l’evidenza che, negli ultimi dieci anni, circa un terzo delle italiane che hanno avuto figli non hanno più timbrato il cartellino, abbandonando il mondo del lavoro, la situazione inizia a svelare le sue radici culturali.
Essere mamme e donne lavoratrici, in Italia, è ancora oggi sinonimo di missione impossibile.
A metà tra l’effettiva discriminazione messa in atto dai datori di lavoro, spaventati da chissà quale presunto assenteismo delle proprie dipendenti, ed uno scoraggiamento della donna che vive nella sincera paura di non farcela, il binomio donna e lavoro assume i contorni di un tabù.
Eppure secondo la scienza, la maternità porta nella donna dei singolari mutamenti a livello fisico e mentale che richiamano, guarda un po’, le soft skills richieste ad un leader: aumento di materia grigia, incremento della memoria e della capacità visiva, focus sull’ascolto, sulla comprensione e sull’empatia, doti organizzative e formative. Un quadro che sembra raccontare il curriculum di un big boss di una grande multinazionale e che invece riassume, “semplicemente”, le mille e una virtù delle mamme.
Ecco allora un’idea per ripartire: nasce il progetto Maam “Maternity as a Master”, un programma articolato di workshop e laboratori, che aiuta le donne e le aziende a capire come sfruttare le capacità di leadership delle mamme e trasferirne i benefici sul posto di lavoro, per favorire una concreta crescita professionale.
Il video della settimana