Sono passati oltre due anni da quando l’organizzazione ambientalista Greenpeace mise sotto i riflettori le responsabilità di moltissime grandi multinazionali del tessile e di due loro sub fornitori che riversarono sostanze tossiche (sia con gravi ripercussioni sul sistema riproduttivo e ormonale umano, che con devastante impatto ambientale) in svariati fiumi cinesi e, in particolare, nello Yangzte e nel fiume delle Perle, con notevoli riflessi sulla salubrità dell’acqua che moltissime persone utilizzavano a livello domestico.
Da qui Greenpeace lanciò la campagna DETOX, un invito ai colossi dell’abbigliamento ad assumere un comportamento più responsabile, sia nel delineare le operazioni da attuare, sia per stabilire i limiti temporali entro cui rendere operativi i piani: correva l’anno 2011 e da allora svariati marchi internazionali hanno accettato la sfida, impegnandosi entro il 2020 a ripulire i propri processi produttivi.
Sono tantissimi, infatti, i brand di fama internazionale a impiegare sostanze tossiche e pericolose per la salute umana ed accanto ai nomi eccellenti che hanno aderito alla campagna, molti altri sono a tutt’oggi rimasti indifferenti.
Disinteressati non solo all’invito di Greenpeace, ma anche degli effetti che tali sostanze hanno sulla salute dei loro clienti, cioè sulla nostra salute: sorge spontaneo, quindi, chiedersi se tali firme meritano ancora il nostro apprezzamento, e soprattutto i nostri soldi, in cambio di prodotti che non ci tutelano e che anzi ci mettono a diretto contatto con sostanze pericolose per noi e per i nostri bambini.
Continuando a seguire gli aggiornamenti della campagna, potremo decidere di boicottare in prima persona l’acquisto dei capi delle società restie ad aderire ed anche condividere con i nostri parenti e conoscenti della condotta di queste griffe.
Prima del design e del marchio di un vestito, viene la sicurezza delle sostanze impiegate, così come il rispetto dell’ambiente: valori su cui non possiamo assolutamente scendere a compromessi.
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