Per le donne lavoratrici che partoriscono un figlio sono previsti, durante i primi 12 mesi dopo la nascita, dei permessi per l’allattamento. Vediamo insieme come funzionano, tenendo presente le differenze esistenti tra le lavoratrici dipendenti e quelle autonome.
Le mamme lavoratrici dipendenti
I permessi che spettano a queste mamme, che sono denominati “riposi giornalieri”, sono regolati dall’art. 39 del D.L. 151 del 26 marzo 2001.
Questo vale sia per le lavoratrici con contratto a tempo indeterminato che a tempo determinato e i periodi per l’allattamento sono due della durata di un’ora ciascuno, oppure di 30 minuti qualora la mamma fruisca di un asilo nido oppure di altra idonea struttura che siano istituiti nella propria unità produttiva da parte del datore di lavoro, oppure nelle vicinanze.
Le madri possono cumulare queste due ore di permesso e quindi uscire dal lavoro in anticipo, oppure usufruirne spezzate, ad esempio entrando al lavoro un’ora dopo l’inizio la mattina ed uscendo un’ora prima del termine dell’orario stabilito, nel pomeriggio.
Nel caso di parti gemellari l’entità delle ore di riposo per l’allattamento sia raddoppiata. Le tempistiche sono le stesse anche in caso di adozione di un figlio e raddoppiano se i bambini adottati sono due. Dato che i permessi sono usufruibili fino al compimento del primo anno di vita, la loro durata è legata al momento del rientro della mamma al lavoro.
Quando il rientro è legato alla maternità obbligatoria, con il compimento del terzo mese di vita del bambino, i mesi per i permessi di allattamento sono 9, mentre se la madre rientra dopo aver richiesto la maternità “facoltativa”, e quindi con il nono mese del figlio, i mesi disponibili si riducono a 3.
Questi permessi spettano, in misura ridotta, anche alle mamme che lavorano part-time che in questo caso hanno una durata di 1 ora al giorno. Tutte le altre regole sono uguali a quelle delle lavoratrici a tempo pieno.
Riposi giornalieri per il papà
In alternativa alla richiesta della madre, il riposo per allattamento può anche essere richiesto dal padre in alcuni casi specifici. Tra questi:
- quando la madre è deceduta, oppure non riesce ad occuparsi della cura del bambino per una grave infermità;
- quando la madre rinuncia alle ore di riposo giornaliero;
- in caso di affidamento del bambino alle cure del padre;
- quando la madre è una lavoratrice autonoma.
Le lavoratrici autonome
Anche se in forma molto ridotta, anche le lavoratrici autonome, così come quelle che esercitano la libera professione, usufruiscono di diritti e tutele della maternità con una normativa specifica. Per le mamme lavoratrici autonome attualmente la legge prevede un congedo di maternità, che spetta a quelle lavoratrici che sono iscritte alla “gestione separata INPS“, secondo l’articolo 64 del T.U.
In questa categoria sono comprese le collaboratrici coordinate, le libere professioniste, le associate in partecipazione, e le professioniste che non risultano iscritte all’albo e non hanno cassa previdenziale. L’articolo 66 del T.U. disciplina il congedo di maternità spettante alle lavoratrici autonome, mentre l’articolo 70 quello spettante alle libere professioniste che siano iscritte alle casse previdenziali della categoria alla quale appartengono. Al primo gruppo appartengono le lavoratrici artigiane, le coltivatrici dirette, le pescatrici autonome, le mezzadre, le colone e le imprenditrici agricole professionali.
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Come presentare la domanda per allattamento
Per ottenere l’attuazione di questi permessi di riposo, si deve trovare un accordo con i datori di lavoro che tenga conto anche delle esigenze lavorative dell’azienda. Se l’accordo non si trova la soluzione viene determinata dalla competente Direzione Territoriale Lavoro.
Per ottenere il permesso di riposo è necessario presentare, da parte della lavoratrice, una domanda scritta al datore di lavoro, mentre non è obbligatorio presentare copia della domanda all’INPS.
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