Negli asili nido c’è posto soltanto per il 27% dei bambini con età compresa tra 0 e 3 anni.
L’Italia dovrebbe raggiungere, entro il 2030, il 45% e il 96% per i bambini con età compresa tra 3 e 5 anni.
In Italia i servizi per la prima infanzia sotto la media europea
In Italia non c’è soltanto un problema demografico relativo al calo delle nascite, ma anche di strutture e strumenti per l’infanzia. Oggi nel nostro Paese ci sono 1,2 milioni di bambini con età tra 0 e 3 anni.
Un dato certamente più basso rispetto ai decenni precedenti, ma che in realtà sembra troppo elevato per gli asili nidi e per tutte le strutture e servizi che vengono offerti per la prima infanzia. Infatti secondo una recente ricerca sembra che ci sono soltanto in media 27,2 posti per ogni 100 bambini.
Questo significa che gli attuali servizi e le strutture possono coprire neppure un terzo della popolazione. Si tratta di un deficit culturale e strutturale che l’Italia ha nei confronti del resto dell’Unione Europea e dei relativi obiettivi che sono stati prefissati.
Nello specifico sarebbe necessario raggiungere almeno il 33% dei bimbi sotto i 3 anni e il 90% dei bambini tra 3 e 5 anni. La situazione si fa ancora più preoccupante se si tiene conto che dopo la pandemia gli standard europei sono stati aggiornati e rivisti. Rispettivamente per i bambini sotto i 3 anni l’obiettivo è il 45%, mentre tra i 3 e 5 anni bisognerebbe raggiungere il 96%. Tutto questo bisognerebbe farlo entro il 2030.
Ma questo andrebbe fatto non solo per rientrare negli standard europei: infatti sono stati stanziati dei fondi tramite il PNRR per aggiungere altri 264mila posti nei nidi e nelle scuole materne. Questo dovrebbe servire anche per livellare le differenze economiche tra le famiglie che possono permettersi l’asilo privato e quelli che ne sono esclusi. Come riportano anche le numerose indagini di Save The Children sugli asili nido, l’offerta di asili nido è direttamente proporzionale al livellamento delle diseguaglianze, sia per i bambini che in povertà educativa, sia per le mamme che lavorano.
Lo storico divario tra Nord e Sud
Se da un lato appare difficile riuscire a raggiungere questi obiettivi entro il 2030 c’è anche da sottolineare come all’interno dei confini italiani ci sia una situazione molto diversificata. In particolare si evidenzia un importante divario tra nord e sud e tra le città e le zone interne.
Al momento sono al di sopra della media nazionale del 27,2% soltanto 6 ragioni, in particolare al primo posto c’è l’Umbria con il 44% seguita a ruota dall’Emilia Romagna con il 40,7% e quindi la Toscana con il 37,6.
Sono in difficoltà praticamente tutte le regioni del Mezzogiorno a partire dalla Campania con l’11% poi la Calabria con 11,1% e la Sicilia che si attesta al 12,5%. Leggermente meglio la Puglia con il 19,6% mentre la Sardegna viaggia al 30,7%.
Tradotto in soldoni c’è una mancanza di asili nido con tutte le conseguenze per le mamme sempre più equilibriste per trovare il giusto equilibrio tra le esigenze lavorative e quelle dei propri bambini. Spesso sono costrette a prendere in considerazione una soluzione part-time lavorativa per poter conciliare le cose.
Famiglie escluse dall’asilo nido: le mamme in piazza
È di questi giorni la manifestazione a Pesaro dei genitori per protestare contro la carenza di posti negli asili: infatti sono state accolte solo 249 domande e circa 200 famiglie sono rimaste senza un posto.
La portavoce della protesta, Ramona, ha raccontato al giornale Il Resto del Carlino: “Dopo il parto mi sono trovata davanti a un muro insormontabile. Ho scoperto che l’educazione non è un diritto ma un privilegio. Quest’anno a Pesaro nei nidi sono rimaste tagliate fuori 200 famiglie. Vuol dire che noi donne non abbiamo potere di scelta: siamo costrette a stare a casa mentre i nostri figli devono rinunciare a un servizio ottimo come quello offerto dal Comune. Noi ci servono bonus ma servizi“.
Ribatte l’assessore Camilla Murgia, prendendo conoscenza della difficile situazione per le famiglie, specificando “nell’ultimo anno c’è stato un aumento del 25% delle richieste sui nidi: il risultato è che il 45% dei richiedenti è rimasto escluso“.
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