Giocare non è solo un modo creativo per impiegare il tempo libero, ma anche un fondamentale strumento per la crescita dei bambini.
L’ultima conferma in ordine di tempo arriva dallo studio “Communication Disorders: reducing health inequalities”, che dal 2012 – sotto il coordinamento di Massimo Molteni – vede l’équipe dell’Istituto scientifico “Medea – La Nostra Famiglia” impegnata nella diagnosi e nella cura precoce dei disturbi del linguaggio nei bambini.
I primi risultati di questa ricerca ancora in corso dicono che l’inserimento nel percorso didattico di giochi linguistici basati su rime, ripetizioni, riconoscimento di suoni, e videogames creati ad hoc permette di intervenire precocemente sui disturbi del linguaggio e curarli già all’interno della scuola dell’infanzia.
In altri termini, anziché aspettare i 6-7 anni per un’eventuale diagnosi di dislessia, attraverso queste tipologie di giochi i disturbi possono essere diagnosticati già intorno ai 2 anni e mezzo e si può avviare un percorso di potenziamento/recupero delle abilità linguistiche che viene portato avanti nella scuola, dalle stesse maestre piuttosto che dai medici. Il tutto a vantaggio dei bambini, che avranno maggiori possibilità di recuperare il gap, ma anche delle famiglie, del sistema sanitario e della pubblica istruzione, che risparmieranno sui costi per specialisti e insegnanti di sostegno.
Lo studio ha preso in esame 742 bambini iscritti al primo anno della scuola per l’infanzia e residenti fra le province di Lecco e Udine, alcuni con una predisposizione a sviluppare problemi di natura linguistica, altri senza alcun segno di disturbo. Il campione è stato suddiviso in due gruppi, uno dei quali si è sottoposto ai giochi linguistici proposti dalle insegnanti, mentre l’altro no: stando ai risultati, i bambini del primo gruppo hanno mostrato un evidente miglioramento delle loro abilità linguistiche già dopo le prime settimane.
Come dire, giocare è una cosa seria: non sottovalutiamola.
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