17 giugno 2024 –
Un bambino di sei anni viene sospeso per 21 giorni dalla sua scuola a Ladispoli: il motivo sarebbe l’eccessiva iperattività del bambino, riconosciuta però tramite diagnosi di deficit dell’attenzione.
La sospensione, avvenuta tra il 28 febbraio e il 21 marzo di quest’anno, era stata contestata dai genitori, i quali hanno richiesto l’annullamento della misura. Inizialmente, il TAR aveva ordinato il reintegro immediato del bambino, ma il dirigente scolastico non ha rispettato tale disposizione.
Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio ha ora deciso che la scuola dovrà risarcire con 2.000 euro la famiglia di un bambino sospeso dalle lezioni a causa di “iperattività”.
Sospensione di un bambino iperattivo: il caso di Ladispoli
Il caso ha catalizzato l’attenzione nazionale, non solo per le circostanze che hanno portato alla sospensione dello studente, ma anche per l’intervento del Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che aveva ordinato un’ispezione immediata per far luce sulla decisione della scuola.
La vicenda ha avuto inizio quando un bambino di 6 anni, a cui era stato diagnosticato un disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD), è stato sospeso per 21 giorni dalla sua scuola elementare.
La decisione di sospendere lo studente è stata presa dall’istituto il 28 febbraio, con una comunicazione tramite PEC. Immediata la risposta dei genitori che hanno presentato un ricorso cautelare: e il TAR ha risposto il 4 marzo, emettendo un decreto che non solo sospendeva il provvedimento disciplinare della scuola, ma ordinava anche l’assegnazione di un insegnante di sostegno per le ore di lezione non coperte, garantendo così il diritto all’istruzione del bambino.
Nonostante l’ordine del tribunale, il dirigente scolastico ha mantenuto la sua posizione, negando l’accesso allo studente. Dal canto suo, il Ministro Valditara ha inviato ispettori a Ladispoli per indagare meglio la questione.
2000 euro di risarcimento: la sentenza del tribunale e le parole del preside
A distanza di qualche mese il TAR si è nuovamente espresso: nella sentenza, che riconosce ai genitori il risarcimento di 2.000 euro da parte della scuola, i giudici hanno duramente criticato l’operato della scuola, sottolineando che il provvedimento disciplinare non era volto a correggere il comportamento del minore, ma aveva altri scopi.
I genitori del bambino, intervistati dal Messaggero, hanno accolto favorevolmente la decisione del tribunale, evidenziando l’importanza del riconoscimento dell’errore da parte della scuola: “Non ci interessano i soldi, ma è fondamentale dimostrare che i bambini non devono essere allontanati da scuola“.
Dal canto suo il preside Riccardo Agresti, che nel frattempo era stato sospeso, ha risposto al provvedimento del TAR con fermezza, dichiarando che rifarebbe tutto daccapo.
Ha spiegato che il clamore mediatico ha portato a un aumento delle ore di supporto per il bambino, da 11 a 40 ore settimanali, mettendo in luce una carenza nei servizi sociali e scolastici.
Agresti ha affermato che il suo scopo è stato raggiunto e che la sentenza è interpretabile. Ha sottolineato di aver allontanato il bambino per inviare un messaggio forte ai genitori, non per escluderlo dalla scuola:
Abbiamo accolto alunni disabili che hanno cambiato più scuole e da noi stanno andando avanti. Lo ripeto: in questo caso l’abbiamo fatto per mandare un messaggio alla sua famiglia. Non mi sembra abbiano capito.
Il preside ha inoltre difeso la sua azione dicendo che la sospensiva del TAR non era stata attuata immediatamente perché non aveva ricevuto la comunicazione per temp:
Dicono che non ho attuato la sospensiva del Tar che ammetteva l’alunno. Non avevo aperto la posta. L’avvocato della famiglia del bambino ha girato via email la sospensiva nel pomeriggio del 4 marzo, quando le segreterie erano chiuse. Il giorno dopo il padre si è presentato a scuola sventolando dei foglietti ma a me la posta è stata girata solo dopo. Mi difenderò
Infine, il preside ha voluto evidenziare i continui sforzi della scuola per l’inclusione, accogliendo e gestendo alunni con disabilità anche più gravi, ma ha ribadito che il comportamento del bambino era particolarmente difficile da gestire, richiedendo una riflessione più profonda da parte dei genitori.
Diritto allo studio e inclusività
Al di là della legittimità o meno della sospensione, il caso solleva interrogativi più profondi su come le scuole gestiscono i bambini con esigenze speciali. Il ricorso al TAR da parte dei genitori e la successiva emissione di un decreto che ordinava la scuola a fornire un adeguato sostegno didattico indicano una mancanza di risorse, o forse di volontà, nell’integrare studenti con profili comportamentali e cognitivi diversi.
La presa di posizione del dirigente scolastico, che sottolinea gli sforzi compiuti dalla scuola ma anche le difficoltà incontrate nell’integrare il bambino nelle attività didattiche, getta luce sulle sfide quotidiane delle istituzioni scolastiche.
Il preside dell’istituto, Riccardo Agresti, su questo tema ha dichiarato:
Il problema reale della vicenda è semplicemente la famiglia che ritiene la scuola un babysitteraggio e se ne infischia del fatto che altri 21 bambini non stanno imparando a leggere e scrivere a causa della situazione della classe
La dichiarazione che la famiglia consideri la scuola come un semplice servizio di babysitting evidenzia un’ulteriore dimensione del problema, ovvero la necessità di una collaborazione più stretta tra scuola e famiglie nell’educazione dei bambini con esigenze speciali.
Scuola italiana tra risorse mancanti e burocrazia
Il caso di Ladispoli diventa così emblematico di una questione più ampia che riguarda l’educazione inclusiva in Italia.
L’invio degli ispettori dal Ministro dell’Istruzione non è solo un tentativo di risolvere un caso isolato, ma un segnale che il dialogo tra famiglie, scuole e istituzioni deve essere rafforzato. Solo attraverso un approccio collaborativo, che tenga conto delle esigenze di tutti gli studenti, sarà possibile costruire un sistema educativo veramente inclusivo.
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