La Mattel lancia sul mercato americano l’ultima versione della Barbie, quella con sindrome di Down, per innalzare il livello di inclusività raggiunto dall’iconica bambola. Ma non sono mancate le polemiche.
Barbie sempre più rappresentativa
La famosa azienda statunitense Mattel ha realizzato la sua prima Barbie nel lontano 1959: biondissima, gambe lunghissime e fisico da urlo. Successo strepitoso con vendite eccezionali in tutto il pianeta. Poi, pian pianino, ha cominciato a valutare altre soluzioni; soprattutto dopo uno studio della University of South Australia dove sono uscite le probabilità che le ragazze avessero davvero il corpo simile alla Barbie: una su centomila…
A quel punto i responsabili della Mattel hanno commissionato ai loro tecnici costruttori altri tipi di Barbie. Ecco quindi arrivare sul mercato Tall Barbie, Petite Barbie e Curvy Barbie, anche con varie tonalità di pelle, come esempi di inclusività a 360 gradi. Ma la versione Down, appena uscita, della popolare bambola è ancora più rappresentativa.
Sindrome di Down più rappresentata
Secondo molti Barbie Down ha colto nel segno e si annunciano già vendite record. Indicativa al riguardo la dichiarazione di Kandi Pickard, Presidente di NDSS – National Down Syndrome Society – Il potere della rappresentazione è enorme e non deve essere mai sottovalutato. La realizzazione di questa Barbie è un grande passo in avanti per l’inclusione totale.
Giocare con le bambole suscita innanzitutto empatia ed è come vedersi rappresentate e, quindi, ecco che anche tutti i bambini in questa situazione sfavorevole possono sentirsi inclusi e incluse dal nuovo tipo di Barbie. Ci si aspetta un maggiore senso di empatia nei confronti delle persone con Sindrome di Down grazie all’utilizzo della nuova bambola, unito magari all’accompagnamento alla comprensione. Due sentimenti che ai nostri giorni sono difficilmente riscontrabili, dai bambini così come dagli adulti e di cui invece c’è tanto bisogno.
La nuova Barbie non mette però tutti d’accordo
Come era facile immaginare, quando si parla di inclusione, c’è sempre qualche opinione differente che emerge soprattutto sui social.
Luca Trapanese, papà di Alba, ha espresso dal canto suo tutta la soddisfazione per questo nuovo giocattolo più inclusivo: “È molto importante per i bambini sentirsi accolti nel gioco e riconoscersi in esso“.
Altre persone non sono dello stesso parere e hanno espresso scetticismo sull’operazione, come “l’ennesima manovra pubblicitaria” (al che uno potrebbe obiettare che un’azienda che fa giocattoli segue appunto ciò che fa pubblicità migliori), oppure come nessun segnale particolare di inclusione: un po’ per i tratti somatici della nuova Barbie, giudicati da molti come “normali” oppure perché non bisognerebbe a loro avviso insegnare i bambini a stabilire delle differenze.
“Per me è un modo per fare ancora una volta una distinzione. Se avere un handicap, o una malattia che ci rende diversamente abili (e io ce l’ho), fosse davvero una condizione normale che bisogno ci sarebbe di produrre bambole “non normali” o in sedia a rotelle?”
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