Per un papà il rooming-in è un po’ come il campeggio, può essere stata un’esperienza bellissima, da raccontare e consigliare, o essere rimasto nella memoria come scomodo e poco pratico.
Personalmente mi trovo sicuramente tra i papà contenti. Se potessi descriverlo con due parole, scegliere sicuramente: presenza e condivisione. La prima volta che ho sentito parlare di rooming-in eravamo in visita all’ospedale, un’uscita organizzata dal corso pre-parto di mia moglie. Non ci prestai particolare attenzione, ero più incuriosito da quello che mi circondava. Anche perché, ad essere sinceri, tutte le coppie erano rimaste colpite dalle due stanze arredate come camere d’albergo messe a disposizione dei neo genitori. Le probabilità erano bassissime ma tutti ci speravano.
Il rooming-in crea, in un certo senso, una tribù di papà.
Nel corridoio del reparto si possono vedere papà in fila spingere le piccole culle cercando di favorire il sonno dei neonati così da lasciar riposare in tranquillità le neo mamme. Disciplinati e con aria concentrata si muovono con tutta la grazia e delicatezza possibile. Al terzo o quarto giro ci si saluta tra papà, come in autostrada tra motociclisti. Se ci fossero i fari alle culle, qualcuno farebbe gli abbaglianti.
Nel corso della giornata sono previsti i controlli di routine ai quali molte volte vengono chiamati direttamente i papà. Non so se per favorire la loro partecipazione o per il sadismo delle infermiere, che snocciolano velocemente istruzioni e consigli ai neo papà sapendo che poi, tornando in camera, non sapranno rispondere neanche ad una delle domande che farà loro la mamma.
Ricordo l’esame del sangue attraverso la puntura al tallone, mi sembrò una cosa terribile da fare ad un esserino così piccolo. Le infermiere lo maneggiavano come fosse di gomma. Come tutti i genitori avrei imparato a farlo anche io ma all’inizio il primo pensiero è “Pianooo, così gli fa male!!!”.
Poi arriva la sera. I papà che sono lì dal giorno prima danno delle dritte a quelli arrivati in giornata. Dove si possono prendere le poltrone per la notte, qual è l’orario migliore per trovare quelle più comode e non gli scarti. Così mi sono ritrovato, abbastanza comodo, accanto alla culletta di mia figlia con all’altro lato il letto di mia moglie. Ogni tanto chiudevo gli occhi e poi li riaprivo per vedere che andasse tutto bene.
Tornati a casa ho rimpianto la culla dell’ospedale che era trasparente e permetteva di guardare il neonato stando comodamente sdraiati. A casa, nonostante la culla fosse vicino al letto, per guardare dentro, con la solita paura che di colpo non respirasse più, era necessario almeno alzare la schiena.
Ripensando alla mia esperienza, mi sembrerebbe veramente strano, quasi innaturale per un evento così straordinario, avere degli orari precisi per poter visitare mia moglie in ospedale e per vedere mia figlia appena nata.
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