Gli operatori del Centro Famiglie di Parma sono soddisfatti, la bambina è felice, i genitori affidatari sono orgogliosi…sembrerebbe il quadro ideale di un tradizionale iter di affidamento, ma le cose cambiano quando si scopre che i genitori a cui è stata data la bambina, sono due papà.
Il caso si è diffuso qualche settimana fa, quando il Tribunale dei Minori di Bologna ha affidato a una coppia gay, perfettamente stabile e convivente da anni, una bambina che ora sta bene, è felice e può forse trovare quell’equilibrio che non aveva nella sua famiglia di origine. La mamma naturale, che come la figlia, conosce i due uomini, approva la soluzione.
Come di prassi, i Servizi Sociali di Parma e il Tribunale di minori hanno portato avanti le tradizionali procedure tecniche di affido, identiche per tutte le famiglie. Ci tengono a sottolineare come non sia stato né un atto rivoluzionario, né una scelta di campo a scopo politico. Un modello a cui ispirarsi però sì, verrebbe da dire.
La coppia di neo-genitori mantiene il silenzio, per non compromettere il delicatissimo equilibrio di casa. Ma, forse, vorrebbero rispondere a chi ha parlato di “disprezzo verso i diritti del minore”, o di “mondo alla rovescia”. Come dice l’assistente sociale Patrizia Forlini, “non c’è scritto da nessuna parte che i gay non possano accogliere minori in affido”. L’affido, infatti, più di ogni altra scelta, è una questione di empatia.
Tanto più che, in Italia, la lista di famiglie disponibili all’affido è molto esigua e non si riesce a rispondere a tutte le richieste. C’è una grande differenza rispetto all’adozione: con l’affido il bambino non diventa tuo. Vive con te per qualche mese, o qualche anno, ma poi tornerà nella sua “vera” famiglia. E, da parte dei genitori affidatari, ci vuole un notevole impegno per mantenere rapporti sereni e collaborativi con quelli di origine, anche con tutte le difficoltà del caso.
Con l’affido si risponde a un bisogno sociale reale di tutela dei diritti dei minori. E tanto di cappello a chi, se ritenuto idoneo, offre la propria disponibilità tendendo la mano a bambini con alle spalle situazioni difficili. L’infanzia è il momento più delicato, forma il carattere, gli ideali e getta le basi per la vita futura.
Per diventare una famiglia affidataria, la domanda da fare a se stessi non dev’essere “perché?”, ma “perché no?” E che a porsela siano un uomo e una donna, o due uomini, o due donne, poco importa. Almeno…sicuramente agli occhi dei bambini.
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Quello di cui ha bisogno un bambino è amore incondizionato e accettazione. E i piccoli che vengono affidati ad altre famiglie ancora di più, provenendo da situazioni difficili e dolorose.
Se i bambini sono felici in un nucleo composto da due uomini (o due donne), perché dev’essere la società ad ostacolare la loro serenità? Tanto più che, nei casi di affido, una famiglia cosiddetta “normale”, composta da una mamma e un papà, è quella a cui i servizi sociali hanno tolto il figlio…
Sono convinta che, in un mondo sempre più multiculturale e cosmopolita, sia giunto ormai il tempo di superare certi stereotipi, di guardare la realtà con occhi più aperti e, soprattutto, di offrire a tutti la possibilità di trovare la propria strada per essere felici. Chi siamo noi per giudicare la vita degli altri?
Domanda: perchè è diverso se i genitori sono due papà? Risposta: perchè manca la mamma.