La verità è che non si sceglie mai di essere fratelli.
Come non si scelgono i genitori, anche sui fratelli non c’è via di scampo: ce li si ritrova, nel bene o nel male.
Io, da figlia unica, ho sempre sognato una famiglia numerosa. Ci sono figli unici felici di esserlo stati, figli unici che vi si sono adattati con facilità (io credo di far parte di questa categoria, mia madre racconta che ho chiesto di avere un fratellino, ma per un periodo piuttosto breve e senza grosse insistenze) e figli unici che non si arrenderanno mai a questa condizione, vivendola come una congiura.
Da quando ho accarezzato l’idea di diventare genitore, però, ho sempre saputo che avrei voluto avere più di un figlio e possibilmente anche di età vicine tra loro. Almeno su questo aspetto, posso dire di avercela fatta, visto che i miei tre bimbi hanno meno di 5 anni di differenza tra loro.
Rapporto tra fratelli: così simili eppure così diversi
Quello che non avevo preso in considerazione, invece, è che nessun bambino è uguale all’altro: essere fratelli non vuol dire avere lo stesso carattere, gli stessi gusti, le stesse propensioni, passare le principali tappe di sviluppo nello stesso momento, vestire gli stessi vestiti.
Essere fratelli vuol semplicemente dire avere la stessa madre e lo stesso padre, per il resto, ognuno ha la propria personalità, che tira fuori con forza, giorno dopo giorno.
E, per noi genitori, avere più bambini vuol dire ricordarsi che non hanno gli stessi gusti, lo stesso carattere, le stesse propensioni e che non faranno le stesse cose nello stesso momento.
Ogni bambino è un essere unico e irripetibile. Che tradotto significa: non andranno tutti ugualmente bene a scuola, non ameranno tutti fare le stesse cose o lo stesso sport, non faranno gli stessi giochi (si, beh, a volte si e, di solito, contemporaneamente quando il gioco a disposizione è solo uno), non avranno gli stessi gusti alimentari o nel vestire.
Come si viene a capo di tutto questo? Prima di tutto con tanta pazienza, empatia, ascolto. Poi va aggiunta una buona dose di memoria (ricordo ancora, con un certo imbarazzo, quando davanti al medico non ricordavo più quali malattie avesse fatto mio figlio e quali, invece, avessero fatto i fratelli) e una scorta infinita di “scusa”, “mi dispiace”, “vuoi un abbraccio?”.
Già, perché quello che spesso non ci raccontano, è che i fratelli mica si piacciono per forza.
Noi abbiamo scelto di avere più figli, mica loro (e no, non vale dire “ma me lo chiedeva con insistenza” perché un bambino non sa, davvero, cosa vuol dire avere un fratello finché non se lo trova tra le braccia, magari controvoglia, per la solita foto di rito post nascita, mentre la mamma sorride con fare incoraggiante).
I fratelli sono due estranei che si trovano ad un certo punto a convivere, giorno dopo giorno, imparando a conoscersi, apprezzarsi, amarsi e certe volte anche odiarsi.
La fortuna dei fratelli, però, è quella di fare la reciproca conoscenza quando sono solo bambini, e quindi, per loro natura, più aperti al cambiamento, accoglienti, capaci di fare spazio nel loro cuore e nella loro vita a quel nuovo, piccolo estraneo che ha fatto improvvisamente capolino.
Crescendo, i fratelli, nella maggior parte dei casi, riescono a diventare complici in tutto e per tutto, passando dal giocare perfettamente insieme al litigare senza soluzione di continuità, ma senza mai serbare rancore.
Il legame tra fratelli è unico e speciale: nessuno sarà capace di stabilire un legame altrettanto forte e indissolubile, nessuno sarà in grado di comunicare con loro con la stessa facilità ed empatia, senza bisogno di parole.
In molti raccontano che la parte difficile, nel rapporto tra fratelli, arriva con l’adolescenza, dove spesso si sviluppano gusti e compagnie differenti, magari perdendosi di vista, per brevi periodi. Ma i legami, se hanno basi solide, si indeboliscono ma non si spezzano, tornando poi a rinsaldarsi quando si diventa grandi. Di questo, però, vi saprò dire, forse, più avanti.
Quello che so ora, da mamma di tre bimbi, è che non c’è dono più bello che avrei potuto fare loro.
Non c’è momento in cui ho creduto di aver fatto una cosa sbagliata, anche nei momenti più difficili in cui ogni giorno si presentava come una montagna infinta da scalare, perché sapevo che erano solo temporali passeggeri nel lungo percorso che è la vita.
Oggi, loro, sono la prima persona che cercano quando si svegliano e l’ultima che salutano quando vanno a dormire, sono i primi a cui raccontano i segreti, quelli con cui sono onesti al 100%, quelli con cui instaurano alleanze indissolubili per ottenere qualsiasi cosa.
Sono amici, complici, alleati.. fratelli!
C’è Tempo: un film che racconta quanto è difficile crescere
Con magistrale semplicità, ironia, dolcezza ma anche rabbia, frustrazione, tristezza tutto questo ce lo racconta Walter Veltroni, attraverso il suo ultimo film C’è Tempo, da oggi nelle sale.
Stefano, un uomo di 40 anni, scopre improvvisamente di avere un fratello di 13 anni, Giovanni, nato dal secondo matrimonio del padre (che in realtà lui non ha mai conosciuto).
Come se non fosse già abbastanza difficile scoprire di avere un fratello, a lui è chiesto di occuparsene al 100% fino alla maggiore età, visto che è rimasto orfano. All’inizio Stefano accetta controvoglia e solo per un fattore economico: lui non ha figli, un matrimonio che claudica, un lavoro (anzi due) piuttosto precari e insoliti.
Così Stefano e Giovanni cominciano un viaggio, senza meta apparente, per mezza Italia: la attraversano in spider, in lentezza, inventandosi soste e appuntamenti in una lunga estate soleggiata e calda, imparando a conoscersi.
Giorno dopo giorno si mettono reciprocamente a nudo, mostrando le proprie debolezze: Stefano è troppo bambino, Giovanni lo è troppo poco, Stefano rifugge le responsabilità, Giovanni se ne sente già troppe, Stefano è sboccato e tracotante, Giovanni educato e minuto.
Ma, insieme, nonostante le differenze all’apparenza inconciliabili, crescono, cambiano, si abbandonano l’uno all’altro nella scoperta della bellezza del lasciare da parte la paura costante dell’abbandono per accogliere quel sentimento puro che solo l’essere fratelli crea.
Sulla loro strada, assolutamente per caso, trovano Simona, una cantante molto bella e sola e sua figlia Francesca, coetanea di Giovanni. Con loro faranno parte del viaggio, Stefano inseguendo il sogno di un amore improbabile, Giovanni semplicemente con la voglia di sentirsi meno solo, in balia di quell’adulto che non è mai abbastanza adulto.
C’è Tempo è un film delicato, emozionante, vero: racconta senza troppi giri di parole che cos’è la solitudine e quanta paura possa fare, racconta quanto è difficile crescere, oggi, che si abbia 13 o 40 anni, racconta come adulti e bambini non parlino la stessa lingua ma anche che, mettendosi in ascolto, riescano a comunicare e dialogare in modo vero e sincero.
C’è Tempo è un film per ragazzi e per famiglie, da oggi nelle sale e vale davvero la pena di andare a vederlo.
Post in collaborazione con Vision Distribution
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