Lavorare (senza nemmeno la pretesa di fare carriera) e avere una famiglia nell’Italia di oggi, per una donna, sono due termini che difficilmente stanno bene insieme nella stessa frase. Non è solo un luogo comune, un pregiudizio, ma una vera e propria realtà con cui gran parte delle donne del nostro Paese si trova a convivere. Tanto da essere ribattezzate le “equilibriste”, un appellativo che calza loro davvero a pennello.
Questi sono i dati che emergono dal rapporto annuale di Save The Children, Le equilibriste: la maternità in Italia, diffuso nei giorni scorsi in occasione della Festa della Mamma.
La maternità in Italia: le mamme equilibriste
Per il nono anno, Save The Children dedica ampio spazio alle donne, proprio in occasione della Festa della Mamma, che si festeggia il 12 maggio. Il rapporto “Le Equilibriste, la maternità in Italia”, cerca di fare un bilancio della vita delle mamme in Italia, in equilibrio precario tra lavoro, discriminazione di genere e denatalità.
Infatti la crisi della natalità in Italia spesso domina le discussioni pubbliche: tanto da rendere necessario un forum promosso dalla Chiesa Cattolica come gli Stati generali della Natalità, dove la Ministra Rocella è stata contestata.
O meglio ancora, sentirci dire che se non facciamo figli è perché fondamentalmente siamo egoiste, come ha affermato l’ex Senatore Pillon, a proposito del calo delle nascite.
Tante responsabilità sulle spalle delle mamme
Tuttavia, nonostante fior di convegni e incontri su come vorremmo che fosse la famiglia italiana, si tende a trascurare il come sostenere la famiglia e la maternità : come affrontano le sfide quotidiane e reali delle madri contemporanee? Queste donne, al centro della cura dei figli, sono vere e proprie ‘equilibriste’, impegnate costantemente a bilanciare le responsabilità familiari e professionali, nella vita vera.
Nonostante l’età anagrafica in cui si diventa madri è abbastanza eterogenea (la media delle età materna è di 31 anni e mezzo), le difficoltà che si riscontrano nel mondo del lavoro, così come nella conciliazione dei tempi professionali e familiari, sono molto omogenee: la cura e l’affidamento dei figli, così come dei genitori anziani, grava per la stragrande maggioranza sulle spalle delle donne.
Le donne, quindi, si trovano a dover svolgere i lavori di cura, pesanti e non retribuiti, e a pagarne le conseguenze nel momento dell’ingresso nel mondo del lavoro.
Lavoro, disparità di genere e maternità
A livello mondiale, nella classifica di parità di genere nel mondo del lavoro il nostro Paese è leggermente migliorato: se nel 2015 l’Italia si trovava in 111sima posizione secondo il Global Gender Gap, elaborato dal World Economic Forum, oggi si trova alla posizione 79.
In Italia, nonostante un significativo numero di donne partecipi al mercato del lavoro, la maternità continua a rappresentare un punto di svolta che accentua le differenze di genere. Nel 2023, il tasso di occupazione femminile tra i 15 e i 64 anni si attestava al 52,5%, notevolmente inferiore rispetto alla media dell’Unione Europea, che è del 65,8%.
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Ulteriori dati mostrano un divario ancora più marcato quando si considera la situazione delle donne con figli. Mentre le italiane senza figli hanno un tasso di occupazione del 68,7%, questo indice scende al 57,8% per quelle con due o più figli minori. In netto contrasto, gli uomini nella stessa fascia di età mantengono un tasso di occupazione stabile e elevato, pari all’83,7%, indipendentemente dal numero di figli.
Tradotto in soldoni, significa che una donna su due, di età compresa fra i 16 e i 64 anni, non lavora, a fronte di una donna su tre del resto d’Europa.
Le bi-mamme che riescono a lavorare sono il 54,2% mentre le madri di tre figli sono solo il 40,7%. Una mamma su tre che lavora sceglie il part time, o vi è automaticamente indirizzata, con un conseguente abbassamento dello stipendio e indipendenza economica.
Le dimissioni post-maternità
Un altro aspetto riportato dal report, è la questione delle dimissioni volontarie dopo l’arrivo di un figlio: nel 2022, si sono registrate 61.391 dimissioni volontarie tra i genitori di bambini sotto i tre anni. Di queste, il 72,8% erano donne, una cifra che riflette la pressione sproporzionata che le madri spesso affrontano.
La mancanza di servizi di assistenza all’infanzia è stata la causa principale per il 41,7% di queste dimissioni femminili, mentre il 21,9% ha citato difficoltà nella gestione del lavoro come motivo principale. Complessivamente, le responsabilità di cura hanno rappresentato il 63,6% delle ragioni dietro le dimissioni delle lavoratrici madri.
Contrariamente, la maggior parte delle dimissioni maschili, il 78,9%, è stata motivata da ragioni professionali, come il desiderio di cambiare azienda. Solo il 7,1% degli uomini ha indicato la cura dei figli come motivo della loro decisione di lasciare il lavoro.
Conclude questa non certo rosea carrellata sul mondo del lavoro al femminile il dato delle donne che sono state licenziate per via di una gravidanza: 8,4%.
Le politiche per la natalità e le famiglie in Europa
L’Italia continua a registrare un declino nelle nascite, con meno di 400.000 nascite nel 2023 e un tasso di fertilità che si attesta a 1,20 figli per donna, uno dei più bassi in Europa. Questi dati riflettono non solo una crisi demografica, ma anche le difficoltà delle donne nel trovare un equilibrio tra carriera e maternità.
Altri paesi europei hanno adottato misure proattive per affrontare problemi simili, migliorando il supporto alle famiglie e rendendo più accessibili i servizi per l’infanzia. Per esempio, la Francia e la Finlandia hanno sistemi di congedo parentale che promuovono una maggiore equità e flessibilità, aiutando i genitori a bilanciare meglio le esigenze lavorative e familiari.
E in Italia, cosa si può ancora fare? Come fa notare Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia:
Occorre intervenire in modo integrato su più livelli. Oggi la nascita di un bambino rappresenta nel nostro Paese uno dei principali fattori di impoverimento. Bisogna sanzionare ogni forma di discriminazione legata alla maternità, rendere obbligatorio il family audit e promuovere l’applicazione piena della legge sulla parità di retribuzione. Occorre, inoltre, assicurare ai nuovi nati l’accesso ai servizi educativi per la prima infanzia così come alle cure pediatriche. Gli esempi europei ci sottolineano come, affinché le riforme abbiano un effetto positivo sul benessere delle famiglie, e quindi indirettamente anche sulla fecondità esse debbano essere stabili. Le frequenti riforme e inversioni delle politiche familiari le rendono imprevedibili, poco affidabili e confuse, con un impatto potenzialmente negativo sulle famiglie e sulle donne in particolare.
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