Chiunque di noi sa che, non appena mette piede in pronto soccorso, le viene assegnato un codice “colorato” in base alla gravità del problema diagnosticato, dal bianco al rosso, in un crescendo di serietà e, quindi, di priorità rispetto agli altri pazienti presenti nel presidio.
Accanto a questi codici, la Legge di Stabilità 2016 ha introdotto obbligatoriamente un nuovo colore, quello rosa, dedicato alle donne che si presentano in pronto soccorso con lesioni o ferite “sospette”, riconducibili a possibili abusi fisici da parte di mariti e compagni o, più in generale, a una violenza di genere. Si parla per l’appunto di “codice rosa”.
Codice rosa: una scelta “imposta”?
La novità ha sollevato subito l’attenzione delle associazioni femministe nella misura in cui questo nuovo codice sembra imporre una denuncia alla donna, cosa che invece dovrebbe essere libera e consapevole. Precisiamo che la legge non parla di obbligo di denuncia, ma introduce solo un canale privilegiato di assistenza alle donne che, potenzialmente, hanno subito un abuso e che, per la delicatezza della situazione, avrebbero bisogno di un supporto non solo medico, ma anche psicologico su misura.
In questo senso, da anni la pratica del “codice rosa” è in vigore a Grosseto, dove un’equipe specializzata si occupa e presta un aiuto e un supporto specifico alle donne che, da un primo accertamento diagnostico, risultano essere vittime di un abuso di genere.
Lo scopo del “codice rosa” non è quello di imporre una denuncia, bensì quello di riconoscere che, fra i tanti casi che ogni giorno arrivano in un pronto soccorso, ci sono delle donne che hanno bisogno di comprensione e di una figura che le faccia capire che, al di la’ di tamponare le ferite fisiche, c’è la possibilità di uscire dal tunnel, di porre fine a un incubo fatto di botte, violenza e omertà.
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