La guerra è sempre ingiusta, coinvolge vittime innocenti e si muove su sentieri di disumanità. Non esistono territori che meritano più attenzione di altri. Oggi ci soffermeremo sullo scenario ucraino, come simbolo della sofferenza di fronte a cui non si può restare indifferenti. L’aiuto che ciascuno può offrire è soggettivo e connesso alle personali condizioni e possibilità. Molti sono i profughi ucraini che stanno giungendo nel territorio italiano, che necessitano di ospitalità e accoglienza.
Ci soffermeremo su cosa significa accogliere per facilitare una scelta di consapevolezza, in cui l’emotività e la razionalità possano integrarsi. L’iter per ospitare i minori non accompagnati però prevede una procedura specifica, tempi più lunghi e vede coinvolti gli enti preposti alla tutela dei diritti dell’infanzia. I minori che giungono qui con gli adulti di riferimento invece, chiaramente non possono essere separati, si tratterà quindi di accogliere mamma e bambino o l’intero nucleo.
L’obiettivo di queste righe è quello di fornire brevi input di riflessione e sensibilizzazione, in particolare per coloro che hanno scelto di aprire le porte delle proprie case ai profughi ucraini.
La porta aperta delle case di molte famiglie italiane ai bambini ucraini
Scrivere una riflessione sui bambini protagonisti della realtà che stiamo vivendo è un compito oneroso.
Nessun contenuto può essere esaustivo e rappresentativo di ciò che sta avvenendo in questo momento storico.
È disumano ciò a cui stiamo assistendo, sconvolgente e drammatico.
Con l’aiuto della psicologia possiamo fornire supporto e brevi input di riflessione e sensibilizzazione per coloro che hanno scelto di accogliere nelle proprie case i bambini ucraini.
Partiamo da un paradosso: i bambini orfani giunti in Italia sono da considerarsi “fortunati”, rispetto a coloro che non sono sopravvissuti ai bombardamenti o che sono ancora bloccati in una terra oggetto di invasione, devastazione e distruzione. Ciò ci dà contezza della crudezza, delle sabbie mobili su cui ci stiamo muovendo.
La solidarietà di molte famiglie italiane si sta confermando in questi giorni attraverso gli aiuti e l’interesse concreto.
Ci soffermeremo sulle famiglie che hanno offerto la loro disponibilità ad ospitare in casa i bambini ucraini.
La loro condizione è eterogenea, alcuni sono orfani, altri soli ma non orfani, altri accompagnati dalla mamma.
Seguiremo delle linee di riflessione generali, non universali, che trasversalmente possono riguardare l’esperienza delle famiglie ospitanti e dei bambini ucraini.
Cosa significa accogliere?
Le radici sono essenziali, anche per le parole. La parola accogliere deriva dal volgare latino: accolligere (ad+colligere). L’etimologia rivela un duplice significato: ligare e legere.
Cum – ligare, indica l’azione di stringere, di raccogliere (dalla terra, dal mare) qualcosa che vi si trova diffuso o disperso, si riferisce ad un senso più fisico e materiale.
Cum – legere ha un significato più inter-soggettivo e simbolico, adunare, scegliere, leggere.
Per accogliere è necessaria un’apertura profonda, non solo fisica ma anche psicologica.
L’accoglienza prevedere la creazione di uno spazio inedito, quello dell’incontro e della relazione. Accogliere significa inevitabilmente mettersi in discussione, riposizionarsi rispetto a sé e verso l’altro.
Ciò ci aiuta a comprendere quanto sia importante il ruolo della famiglia che sceglie di far entrare in casa un bambino fuggito dalla guerra.
La psicologia offre una chiave di lettura interpretativa della realtà, può essere uno strumento concreto di aiuto e supporto, può sostenere i compiti della quotidianità, l’esperienza di vita. La cura dell’aspetto psicologico è fondamentale ma chiaramente non sufficiente. Ora sono i bisogni primari e vitali a dover essere soddisfatti, ripristinati, riequilibrati. È in una cornice di complessità che si inserisce l’attenzione ai risvolti psichici qui trattati, non
considerati un dettaglio superfluo ma una parte da integrare nella cura della persona.
Accogliere con consapevolezza
La scelta di far entrare nella propria casa un bambino ucraino è un gesto straordinario, di grande sensibilità e umanità. Oltre alla motivazione evidente di aiuto è importante interrogarsi su eventuali bisogni e aspettative
inconsce e sommerse affinché non interferiscano nella relazione con il bambino, che deve essere al centro dell’interesse e della tutela.
Un dato prioritario da considerare è la temporalità indefinita di questa esperienza: non si conoscono i tempi di permanenza dei bambini nelle case italiane. Ciò permette di regolare un aspetto fondamentale: la chiarezza del proprio ruolo da non confondere con un’esperienza adottiva.
Bisogna monitorare il rischio di far involontariamente reiterare a questi bambini il trauma dell’abbandono. Per evitare che ciò si verifichi sono gli adulti a doversi comportare coerentemente con il proprio ruolo.
È inoltre importante immaginare che non necessariamente il bambino percepirà chi lo ospita come un “salvatore”.
In una fase di comprensibile e drammatica sfiducia anche coloro che desiderano offrire aiuto possono essere percepiti come una minaccia. Il primo passo da compiere è quello di costruire una relazione di fiducia.
Si deve avere consapevolezza sul momento inevitabilmente traumatico che il bambino sta attraversando.
Incontrare un bambino ferito
Incontrare un bambino ferito significa incontrare un bambino impaurito e disorientato, che ha perso i suoi punti di riferimento e sicurezza. Un bambino traumatizzato può sviluppare la percezione della propria mente e del mondo esterno come fonti di pericolo.
Per un bambino non è insolito identificarsi con l’aggressore, maturando un senso di colpa, come se ciò che ha subito fosse avvenuto per colpa sua. Sintomatologie reattive all’esperienza traumatica possono riguardare uno stato di inquietudine, ansia, ipereccitabilità, aggressività, disturbi del sonno, dell’alimentazione e somatizzazioni.
Inoltre, il trauma può essere rivissuto nei sogni, in pensieri ricorrenti o attraverso il gioco e possono comparire comportamenti regressivi. Oltre alle ferite, è importante incontrare il bambino con la sua soggettività, le sue risorse e
con la sua storia, rispetto cui è importante che percepisca un senso di continuità, nonostante la drammatica rottura.
A piccoli passi.. In punta di piedi
È una relazione da costruire gradualmente, con sensibilità e rispetto per i tempi del bambino, che non deve essere iper-stimolato ma accolto nella naturale espressione di sé.
Alcuni input che possono sostenere questa straordinaria esperienza:
- Per gli adulti è importante non sentire l’iper responsabilità di dover curare e riparare le ferite profonde del bambino: bisogna prendersi cura, senza onnipotenza ma con responsabilità.
- È importante parlare con i bambini, usando un linguaggio semplice e infantile.
- Favorire un dialogo del bambino con la propria terra, nelle forme possibili e adeguate all’età e alle caratteristiche. Sarà importante elaborare l’esperienza , non negarla.
- Integrare le diversità di usi , costumi e abitudini.
- Utilizzare tutti i percorsi di supporto previsti sul territorio per affrontare questa delicata fase.
- Porre al centro la tutela del bambino e dei suoi diritti.
Dott.ssa Giulia Gregorini
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