La Diastasi Addominale è una patologia di cui, purtroppo, si parla ancora troppo poco. Abbiamo provato a fare il punto con Enrica Mattioli, presidente dell’Associazione Diastasi Italia ODV, nata dalle solida fondamenta del primo gruppo Facebook Diastasi Italia Official Group.
Che cos’è la diastasi addominale?
La diastasi addominale consiste nella separazione tra i due muscoli del retto addominale, il destro e il sinistro, che si allontanano dalla linea mediana, una sottile banda di tessuto connettivo, molto resistente ma al contempo poco elastica, che si sviluppa dallo sterno fino alla parte superiore del pube.
A causa dell’aumento della pressione intraddominale, conseguente, ad esempio, alla gravidanza, i due muscoli si separano per fare spazio al feto. Normalmente tornano alla loro condizione naturale entro qualche mese dal parto ma in alcuni casi rimane uno “spazio” tra i due retti che non si richiude naturalmente.
Quali sono i campanelli di allarme che indicano la necessità di un controllo?
Spesso e volentieri le donne, nei mesi successivi al parto, lamentano un eccessivo gonfiore addominale che le fa sembrare ancora in stato di gravidanza. È normale e fisiologico, ogni corpo ha i suoi tempi per tornare ad uno stato “normale”, gli stessi ormoni nei 9 mesi subiscono degli squilibri che tendono anche ad assottigliare i tessuti connettivi.
Se però l’addome rimane prominente per più di 6 mesi, se nonostante la perdita di peso o l’attività fisica costante la pancia rimane sempre uguale e addirittura sembra gonfiarsi esageratamente dopo ogni pasto, probabilmente si è in presenza di diastasi addominale.
I muscoli addominali, perdendo la loro efficacia, non riescono più ad assolvere alla loro funzione stabilizzante e contenitiva. Per questo, oltre, ad un disturbo di origine estetico si associano quasi sempre problematiche funzionali.
Le più comuni sono: mal di schiena, instabilità del bacino, dolori alle anche, difficoltà di digestione o di evacuazione, incontinenza, nausea, postura errata, ecc. A volte in alcuni movimenti, soprattutto inarcando la schiena, esce una sorta di bozzo o cresta (che noi abbiamo ribattezzato “pinna”). Spesso si associano anche ernie, soprattutto ombelicali, che occorre tenere sotto osservazione per il rischio di strozzamento.
Nei casi più gravi, quando magari la diastasi non viene diagnosticata per molto tempo, si possono avere anche prolassi degli organi interni. Eppure riuscire a capire se si è affette da questa patologia è semplice, basta seguire il video di autovalutazione che si può fare tranquillamente anche a casa:
Se si hanno dubbi o comunque per far valutare l’ampiezza della diastasi è opportuno poi fare un esame diagnostico (di solito ecografia dei muscoli addominali o risonanza magnetica).
Come si può prevenire? Ci sono donne più predisposte di altre?
Circa una mamma su 3 è colpita da questa patologia che attualmente non ha una causa ancora chiara. In linea di massima, gravidanze plurime ed a un’età superiore ai 35 anni sono fattori di rischio.
Naturalmente ci sono delle accortezze che una donna in stato di gravidanza può tenere, come fare attenzione alla postura, farsi seguire da un fisioterapista per fare attività fisica mirata e moderata, ed esercizi per il rinforzo pavimento pelvico.
Per riuscire a capirne di più, abbiamo proposto un questionario, studiato in collaborazione con un chirurgo, da sottoporre a tutte le donne che hanno avuto almeno una gravidanza, sia con diastasi accertata che non, proprio per riuscire a comprendere i meccanismi che possono portare a questo allontanamento dei muscoli e che vi invitiamo a compilare in modo totalmente gratuito.
Quali sono le soluzioni possibili per risolvere il problema?
In caso di diastasi accertata il passo successivo è quello di rivolgersi ad un professionista.
La diastasi è fisiologica entro i due centimetri circa, ed è possibile sia tenerla sotto controllo attraverso esercizi fisici mirati ad allenare soprattutto il muscolo trasverso (non i classici addominali che potrebbero peggiorare la situazione). Entro pochi mesi dal parto questo genere di ginnastica effettuata da fisioterapisti può riuscire a far diminuire molto il gap presente, se intorno alla soglia fisiologica.
Sopra i 3 cm solitamente si parla di diastasi patologica. Anche in questo caso l’attività fisica aiuta, soprattutto ad alleviare eventuali sintomi, ma purtroppo non è risolutiva. L’unica strada da percorrere è purtroppo quella chirurgica.
In questi anni, attraverso il gruppo Facebook prima e l’associazione poi, abbiamo raccolto informazioni su ospedali e chirurghi che fanno questo genere di intervento tramite SSN. Abbiamo stilato un elenco di vari professionisti, divisi per regione, che effettuano diversi tipi di intervento.
In caso di pelle in eccesso da rimuovere ci si può rivolgere ad un chirurgo plastico che effettuerà un’incisione da una cresta iliaca all’altra per plicare i retti addominali e rimuovere il “grembiule” con o senza spostamento dell’ombelico. Si tratta di un’addominoplastica, un intervento più invasivo ma che promette risultati anche dal punto di vista estetico.
Esistono altre tecniche meno invasive, come la laparoscopia o l’endoscopia, che prevedono l’utilizzo di una rete per rinforzare la parete addominale e sono maggiormente adatte a chi non ha pelle lassa. Ci sentiamo di sconsigliare il taglio verticale spesso usato dai chirurghi generali poiché non cura il lato estetico lasciando una cicatrice ampia e visibile.
Gli interventi prevedono un paio di mesi di riposo nei quali si deve evitare di sollevare pesi, ma in generale i tempi di recupero sono piuttosto veloci.
Sono ancora molte le donne che trascurano il disturbo, non conoscendo addirittura l’esistenza della patologia. In che modo la vostra associazione può essere d’aiuto?
In generale c’è molta disinformazione su questa patologia, anche da coloro che dovrebbero diagnosticarla. Si va dal “signora faccia tanti addominali e massaggi” a “si tenga la pancia così com’è, tanto i figli li ha già fatti” a “non c’è cura ma tanto non si rischia nulla”.
Oltre all’aspetto fisico, per cui molti sintomi vengono scambiati per altro, si sottovaluta moltissimo l’aspetto psicologico che la diastasi addominale comporta (e che noi cerchiamo di affrontare anche nel nostro questionario) per portarla all’attenzione dei medici che rispondono “si tenga quella pancetta, cosa vuole che sia”, mentre invece causa grandi inibizioni e vergogna anche dal punto di vista personale, nei rapporti con i propri cari.
La nostra Associazione cerca costantemente collaborazioni con altre realtà, soprattutto di mamme, per spiegare loro che cosa è la diastasi addominale e come fare per auto diagnosticarla. Cerchiamo con i nostri articoli di informare e rendere consapevoli le donne che così sanno dove e a chi rivolgersi per iniziare un percorso che le aiuti.
Nel gruppo Facebook siamo oltre 20mila, tutte con diastasi accertata e guidiamo e supportiamo ognuna di loro attraverso la propria strada. Purtroppo in SSN i tempi di lista per gli interventi sono a volte molto lunghi (si parla di anni) e con parametri restrittivi e per questo molte si affidano anche a chirurghi privati.
Abbiamo proposto una petizione online per far si che l’accesso alle cure sia più agevole per tutte e abbiamo di recente avuto un incontro presso il Ministero della Salute proprio per presentare i problemi e i disagi che le donne si trovano ad affrontare in questi percorsi.
C’è qualche storia particolare che vi farebbe piacere raccontare?
Prima di essere admin e presidente dell’Associazione, sono anch’io una mamma e una donna che ha affrontato un percorso di rinascita. Quasi un anno fa mi sono sottoposta all’intervento e ho detto addio alla diastasi e a tutte le problematiche fisiche e psicologiche che mi dava. Nel gruppo ci chiamiamo sisters, ed è quello che ci sentiamo, “sorelle di pancia”.
Abbiamo un rito, quello per prima cosa di augurare ogni giorno un in bocca al lupo alle ragazze che affronteranno l’intervento pubblicando l’immagine di una sirena. Come la più famosa Ariel, usciamo dall’acqua e scegliamo di camminare sulle nostre gambe, fiere e consapevoli.
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