Chi l’ha detto che discipline umanistiche e scientifiche corrono su due binari paralleli be distinti?
Un recente studio della Michigan State University, pubblicato sulla rivista accademica “Economic Development Quarterly”, ha infatti dimostrato che ben il 93% dei laureati in materie scientifiche (matematica, scienza, ingegneria), si sono dedicati, nei loro primi 14 anni, alla musica, alle arti visive, alla danza o alla recitazione. Gli scienziati, quindi, da bambini hanno avuto un’anima artistica. E se arte, musica, scrittura o teatro vengono coltivati anche in età adulta, ci sono alte possibilità di diventare inventori.
In realtà, l’idea che arte e scienza siano inconciliabili, si è diffusa in epoca moderna, da Cartesio in poi, dopo la rivoluzione scientifica del Seicento. Prima, non era così. Basti pensare al genio di Leonardo da Vinci, che in un’unica persona ha riunito la poliedricità di artista, scienziato e inventore. O, ancora prima, in epoca classica, alla filosofia di Artistotele, che assoggettava la poesia a un insieme di regole precise, e Pitagora, che vedeva come intimamente connessi il mondo della matematica e della natura. Il termine greco “techne”, infine, che in latino si traduce con “ars”, significa allo stesso tempo arte e tecnica.
A bene vedere, queste due forme di conoscenza sono basate sullo stesso approccio mentale, e su un’uguale dose di intuizione e ragione.
Uno dei padri fondatori delle cosiddette “teorie del caos”, il francese Jacques Hadamard, ha focalizzato i suoi studi sull’intuizione, che, dice, è presente in ugual misura sia negli scienziati che negli artisti. Lo stesso Albert Einstein ha ammesso che l’intuizione era la molla che scatenava la sua creatività scientifica. Il filo conduttore, comune a materie umanistiche e scientifiche, quindi, è la necessità di elaborare pensieri astratti e di offrire una rappresentazione del mondo esteticamente raffinata.
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