Il bambino fatica a imparare a leggere. Il piccolo non sa contare. Il piccolo è pigro. Vostro figlio fatica a scrivere correttamente. In una mamma, il campanello d’allarme scatta subito: Mio figlio non avrà per caso dei disturbi dell’apprendimento?
Secondo le ultime statistiche sono quasi 200 mila in Italia i bambini colpiti da disturbi dell’apprendimento di varia natura, dalla dislessia, alla disgrafia, fino alla discalculia.
Ma quando si può definire un vero disturbo dell’apprendimento, e non un semplice momento di difficoltà, transitorio e possibile da superare con le dovute misure?
Ecco alcuni degli elementi da tenere sempre in considerazione prima di preoccuparsi.
Senza una terapia, non c’è diagnosi
I disturbi dell’apprendimento si scoprono con la pratica. In poche parole, non è possibile identificare il disturbo in un bambino solo osservando il piccolo paziente e valutandone i sintomi. Per avere la certezza che il piccolo non stia solo attraversando un periodo di minor reattività, è importante sottoporlo a delle terapie volte a intensificare l’allenamento verso le aree carenti.
Solo valutando la risposta del piccolo agli stimoli è possibile capire se siamo di fronte a una difficoltà o ad un vero e proprio disturbo.
Inutile allarmarsi troppo presto
Non gridiamo al disturbo prima di esserne sicure! Solo superati gli 8 anni di vita, ovvero quando la prima importante fase dell’apprendimento può considerarsi conclusa, è possibile capire se veramente ci sono le basi per pensare ad una patologia.
L’importanza di seguire i bambini
I disturbi dell’apprendimento, così come gli stati di semplice difficoltà possono essere influenzati dall’educazione ricevuta. È evidente, quindi, che lavorare insieme ai bambini sin dai primi mesi di età è fondamentale sia per aiutarli ad apprendere che per accorgersi di possibili anomalie.
I primi mesi di vita sono cruciali: è qui che si mettono i tasselli più importanti per lo sviluppo cognitivo umano.
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