Da quando siamo mamme, non abbiamo avuto molto tempo per noi: impegnate fra ninne nanne e omogeneizzati, pannolini e ciucci, l’idea di concederci una serata fuori casa è quasi sempre rimasta lettera morta.
Saranno cambiate le abitudini, ma non abbiamo certo dimenticato l’emozione che si vive nella sala cinematografica quando le luci si spengono e, dopo alcuni secondi, inizia la proiezione, così come non abbiamo scordato l’euforia di tifare per la nostra squadra del cuore allo stadio, inebriandoci dell’entusiasmo collettivo che solo un gruppo di tifosi sa’ darci.
Il cinema e lo stadio non saranno per ora gli svaghi più facili da concederci, ma sappiamo che sono lì ad aspettarci, pronti per regalarci di nuovo emozioni uniche, non appena ne avremo il tempo.
Purtroppo, ancora oggi, nel XXI secolo, ci ritroviamo a dire che siamo fortunate a poterci concederci questo lusso: in molti, anzi in troppi Stati del mondo rimangono passatempi riservati a una parte della popolazione.
E non parliamo solo di motivi economici, ma anche e soprattutto di ragioni culturali e di genere: sembra impossibile, ma ancora oggi in tanti Paesi alle donne è vietato l’ingresso negli stadi, un divieto che – se infranto – può costare molto caro a colei che infrange la norma.
Ghoncheh Ghavami, una giovane donna (25 anni) con doppia cittadinanza iraniana e inglese, sta pagando sulla propria pelle le severe conseguenze imposte dalla legge del suo paese per aver tentato di accedere a uno stadio: dal giugno scorso è rinchiusa in prigione, in isolamento, a Evin, (luogo di detenzione nei pressi di Teheran, Iran), tristemente famoso per la durezza delle condizioni imposte ai suoi detenuti.
Dinanzi a una così macroscopica violazione dei diritti umani, non possiamo rimanere indifferenti: dobbiamo riflettere sull’ingiustizia della norma che vieta una composizione mista del pubblico che assiste agli eventi sportivi, approvata nel recente 1979 (anni in cui in Italia si discuteva sull’abolizione del delitto d’onore, in cui era appena stato introdotto il divorzio), e per quanto in nostro potere dire e ribadire il nostro no, sia anche solo firmando la relativa petizione, scrivendone sul nostro blog o parlandone nel nostro piccolo.
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