Nonostante tutta l’informazione, nonostante tutti gli sforzi fatti, nonostante questa sia la settimana dell’allattamento, le notizie non sono buone: le mamme europee non arrivano ad allattare nemmeno fino ai 6 mesi. Era il 1990 quando OMS e Unicef iniziarono una campagna per l’allattamento stilando nuove linee guida (quelle che dicono che si dovrebbe allattare almeno fino a 6 mesi in modo esclusivo, fino all’anno e oltre per chi lo desidera tra madre e figlio) e divulgando l’informazione. Ma niente da fare, i risultati sono ancora troppo scarsi.
Dopo 25 anni di propaganda, campagne informative e quant’altro, ad allattare oltre i 6 mesi è soltanto la Finlandia. Avvilenti i dati che riguardano gli altri Paesi dell’Unione Europea. La media generale è di 3 mesi. Ma vediamo qualche dato: in Finlandia ad allattare fino almeno ai 6 mesi sono l’80% delle mamme, in Spagna il 35%, nei Paese Bassi il 33% e in Francia il 23%.
E in Italia? Nel nostro paese il 70% dei bambini sono nutriti con latte in polvere a partire dal 4° mese di vita.
Ora urge una riflessione
Se le malattie che effettivamente impediscono la produzione di latte o rendono impossibile l’allattamento al seno per questioni di salute della mamma sono circostanze rare, come si spiegano questi dati? La tendenza generale è quella di considerare l’allattamento come la cosa più bella del mondo, ma anche tra le più difficili e stancanti. Alcune trovano più semplice dare il biberon, quindi fanno una scelta più o meno consapevole e comunque lecita. Altre si nascondono dietro un “il mio latte non basta” anche e soprattutto dietro indicazione di pediatri poco informati. Altre ancora hanno problemi legati allo stato psicologico o al lavoro per cui optano per il biberon.
In tutti questi casi cadere nel luogo comune è facile. Puntare il dito contro è facile. Mettersi nei panni delle mamme e capire i meccanismi che da questa “semplice scelta” scaturiscono è altra cosa. Una grande parte di donne che per i più svariati motivi non allatta, si trascina dietro una serie di sensi di colpa più o meno palesi e più o meno latenti.
Cosa servirebbe?
Innanzi tutto una maggiore tutela dell’allattamento. Le mamme, soprattutto quelle che lavorano, non devono essere messe nella condizione di rinunciare al lavoro o all’allattamento. Una mamma ha il diritto e di lavorare e di nutrire il figlio nel modo migliore. In secondo luogo servirebbe una maggiore informazione non solo per le mamme, che tra tutti forse sono le più ricettive, ma soprattutto occorrerebbe informare e formare gli operatori sanitari, a partire proprio dai pediatri. Proprio loro dovrebbero essere i primi a dire che la frase “mio figlio ha preso latte artificiale ed è cresciuto bene lo stesso” è la prima difesa per chi non allatta, la prima bugia che si racconta a se stesa, non perché un bambino cresciuto con latte artificiale non cresca bene, ne sono cresciute (purtroppo) generazioni intere, ma perché la scelta migliore per il bambino è sempre il latte di mamma.
Ora, in molte staranno pensando, “e ma io non ne avevo abbastanza”. Bene, possibile che solo il 10% delle donne italiane abbia latte fino ai sei mesi? Sarebbe una cosa davvero anomala, da studiare se non altro.
In ogni caso, si auspica che le mamme siano sempre più consapevoli, meno colpevolizzate e più aiutate, perché sostanzialmente, numeri così tristi sono da imputare alla mancanza di sostegno.
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