Chi è malata di tumore pensa solo a mantenersi in vita. Sbagliato. Chi è malata di tumore vuole mantenersi in vita e sentirsi normale. Proprio seguendo questa linea, in America è nata la figura dell’estetista oncologica, in grado di offrire una particolare tipologia di trattamenti estetici applicati a chi sta lottando contro un tumore. Di cosa si tratta? Semplicemente (per quanto semplice non sia) di dare a chi sta affrontando una dura battaglia, gli strumenti per sentirsi a posto con se stessa, almeno dal punto di vista estetico, e quindi, nel caso delle donne anche molto giovani, a posto emotivamente, pronte per lottare.
Le donne che lottano contro i tumori sono spesso provate fisicamente ed emotivamente. Basti pensare ai cambiamenti del corpo durante un percorso chemioterapico: perdita dei capelli, indebolimento delle unghie, ispessimento della pelle e secchezza. Tutto questo finisce per trasformare anche la più bella donna in un involucro trasfigurato. Ora, posto che naturalmente la cosa più importante è quella di cercare di recuperare la salute, perché però una donna anche malata non dovrebbe desiderare di essere comunque attraente? Quasi fosse uno sminuire il suo desiderio di combattere, quasi significasse dare importanza alle cose frivole. Epperò stare bene con il proprio corpo non è forse un incentivo per rimettersi in gioco?
Lo ha imparato benissimo chi ha scelto di fare l’estetista oncologica, una professione che è prima passione, fatta di cuore e coraggio. Sì perché avere a che fare con chi quotidianamente combatte contro la malattia non è semplice, come racconta Claudia De Bertolo, estetista oncologica volontaria, estetista da 17 anni, che ha seguito un corso al San Raffaele di Milano: “Io ho iniziato il corso piangendo e finito piangendo…”. Emozioni forti, con le quali bisogna fare i conti tutti i giorni, ma anche tanta felicità nel regalare un sorriso o semplicemente la voglia di guardarsi allo specchio.
Di cosa si occupa quindi questa professione, ricordiamo, volontaria? Nello specifico si tratta di tatuare, per esempio, le sopracciglia, o il capezzolo nei pazienti che hanno subito un asportazione del seno, ma fino a quella che in apparenza sembra una banale ricostruzione delle unghie, trattamenti per la pelle e tutti quei trattamenti estetici volti a recuperare un’identità rubata dalla malattia.
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