La febbre del Nilo, conosciuta anche come West Nile sulle cronache nazionali, fa registrare nuovi casi nel Nord Italia e soprattutto nel padovano, e qualcuno teme per la sicurezza dei più piccoli: ecco cos’è questa malattia, come riconoscerne i sintomi e le strategie per prevenirla.
West Nile anche tra i neonati? Ecco cos’è
Nelle ultime settimane ha assunto dimensioni un po’ più preoccupanti il fenomeno della febbre del Nilo, o West Nile, dopo una serie di episodi che hanno riguardato il Veneto e anche il nord-ovest. A Venezia e Padova i contagi sono diverse decine, con ricoveri in terapia intensiva che hanno posto in allarme le autorità locali che stanno procedendo a debellare possibili focolai larvali.
Ma in cosa consiste questa patologia di cui si parla molto ma di cui spesso non si conosce l’origine? Ed è pericolosa per i più piccoli?
La febbre del West Nile è causata da un virus della famiglia dei Flaviviridae che prende il nome da una zona dell’Uganda in cui il virus fu isolato più di 80 anni fa e si diffonde attraverso uccelli e zanzare che, a loro volta, lo trasmettono all’uomo pungendolo.
L’incubazione e la sua “asintomaticità”
Nonostante l’allarme che si sta diffondendo a proposito degli ultimi casi di West Nile in Italia, gli esperti assicurano che il virus non può essere trasmesso da una persona infetta ad un’altra.
Maggiori preoccupazioni la febbre del Nilo le desta dal punto di vista dei sintomi, essendo una malattia tendenzialmente asintomatica: inoltre, solo la minoranza delle persone (circa il 20%) che la contraggono presentano sintomi leggeri ma facilmente confondibili con quelli dell’influenza (vomito, nausea, dolori alla testa e ai muscoli).
Come è facile immaginare, i più esposti sono gli anziani, le persone debilitate da altre patologie e in misura minore i bambini: in meno dell’1% delle persone infette i sintomi si manifestano con maggiore gravità e, molto raramente (circa 1 caso 1000), anche con paralisi e coma.
Il periodo di incubazione della febbre, a seguito della puntura, varia da pochi giorni a 14 ma non è raro che possa durare anche tre settimane.
Come curarla e le strategie di prevenzione
Come si è visto nei casi in Veneto, la diagnosi di febbre del Nilo comporta tempistiche lunghe, anche perché i risultati dei test (effettuati sul siero con la immunofluorescenza) richiedono successive conferme circa una eventuale positività e per non confondere la West Nile con una infezione pregressa. In alternativa si ricorre all’esame del PCR (Proteina C Reattiva).
Al momento, non esiste invece cura o terapia specifica e, anche se sono stati sperimentati dei vaccini, nessuno si è rivelato efficace: motivo per cui, la migliore forma di cura è la prevenzione e la protezione, innanzitutto proteggendo gli arti con vestiti lunghi e usando dei repellenti adatti. In particolare per i neonati è opportuno utilizzare le retine antizanzare per il passeggino.
Inoltre, i medici consigliano di fare attenzione agli accumuli di acque stagnanti, anche in casa (vasi per i fiori e contenitori).
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