Avete mai sentito parlare dei “bambini indaco”? Con indigo children (o semplicemente indigos, gli “indaco”), si intendono quei bimbi dotati di spiccate qualità caratteriali (in particolare di empatia, creatività, forza di volontà) o addirittura particolari capacità soprannaturali.
L’espressione (pseudo scientifica) fu coniata negli anni Settanta dalla para-psicologa Nancy Ann Tappe. Del 1982 è il suo libro Understanding Your Life Through Color (“Capire la vostra vita attraverso il colore”) in cui il termine appare per la prima volta.
Dopo il suo diffondersi negli anni Settanta soprattutto all’interno della sub-cultura New Age, il concetto degli indigos si è sviluppato ulteriormente negli anni Novanta anche grazie alla pubblicazione di The Indigo Children di Lee Carroll e Jan Tober (1999). Questo libro ha dato l’avvio a un vero e proprio movimento, che nell’ultimo decennio ha generato una serie di libri, documentari, film e congressi internazionali. La teoria dei bambini indaco, però, non ha fondamento in campo scientifico, in particolare per la totale assenza di prove empiriche a sostegno.
La descrizione dei bambini indaco di Carroll e Tober, presenta questi soggetti come dotati di grande empatia, curiosità, tenacia e una spiccata inclinazione spirituale. Sono bambini molto intelligenti, intuitivi, e insofferenti nei confronti dell’autorità, spesso visti come casi problematici nel sistema scolastico tradizionale. Carroll e Tober, in particolare, sostengono che i bambini classificati come ADHD (iperattivi) possano essere in realtà soggetti indaco, particolarmente dotati, più bisognosi di attenzioni sul piano spirituale e che non di cure mediche.
Nonostante l’inesistenza di fondamenti concreti, questo cosiddetto “movimento indaco” ha sviluppato in pochi anni un largo seguito e, com’è ovvio, un significativo circuito commerciale in termini di libri e video venduti, sedute a pagamento tenute da psicologi o parapsicologi per i genitori dei bambini dotati, congressi, donazioni e così via.
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